Il 31 gennaio vede la Chiesa cattolica festeggiare uno dei santi più amati in assoluto nel nostro paese, San Giovanni Bosco, l’uomo cui è dovuta la nascita e il grande sviluppo degli oratori in Italia. Giovanni Bosco nacque il 16 agosto 1815 in una cascina sita a Castelnuovo d’Asti. Ad appena due anni il padre morì a causa di una polmonite, che lasciò orfano lui e i due fratelli, mentre la madre doveva provvedere al loro sostentamento e a quello della suocera Margherita.  All’età di nove anni, ebbe il primo dei sogni che lo avrebbero accompagnato sino alla morte, da lui stesso definito profetico, nel quale vide chiaramente delinearsi uno dei suoi futuri oratori, un cortile molto spazioso, nel quale molti ragazzi si divertivano, bestemmiando allo stesso tempo. Nello stesso momento in cui si gettava in mezzo a loro cercando di dissuaderli con maniere brusche apparivano prima un uomo imponente, da lui identificato come il Signore, e poi la Madonna, mentre i ragazzi lasciavano il posto ad una moltitudine di animali, prima feroci e poi mansueti, la stessa trasformazione che la Madonna gli chiese di operare verso i suoi figli. Nel tentativo di avvicinare i piccoli alla fede, decise allora di attivarsi in ogni modo, rendendo allo stesso tempo impossibile la sua permanenza all’interno del nucleo familiare che lo aveva accolto sino ad allora. La madre, infatti, decise di inviarlo a Moncuccio Torinese, presso una cascina dove rimase in qualità di garzone per oltre due anni. Proprio in questo periodo entrò in contatto con il cappellano don Giovanni Melchiorre Calosso, il quale decise di prenderlo sotto la sua ala protettiva. Alla sua morte, arrivata nel 1830, consegnò al suo protetto una cifra destinata a fargli completare gli studi che lo stesso Giovanni decise invece di consegnare ai parenti. Giovanni riprese comunque gli studi a Castelnuovo, lavorando al contempo presso un sarto e musicista, imparando altri mestieri, tra cui quelli di fabbro e falegname, che gli vennero utili per dare vita a diversi laboratori artigianali a favore dei ragazzi dell’Oratorio di Valdocco.



Spostatosi a Chieri, fondò una struttura, la “Società dell’Allegria”, il cui scopo era quello di avvicinare i coetanei alla fede, sfruttando le tante abilità di intrattenitore che aveva sviluppato nel tempo. Nell’autunno del 1832 poté finalmente iniziare la parte terminale dei suoi studi, al termine dei quali presentò domanda di ammissione all’ordine dei Francescani, decisione poi annullata su consiglio di don Giuseppe Cafasso, che lo spinse invece a frequentare il Seminario di Chieri, dove studiò sino al 1841. Ordinato sacerdote, sempre su consiglio di Cafasso, decise di entrare nel Convitto Ecclesiastico di San Francesco d’Assisi di Torino, dove la linea teologica si rivelava più improntata alla misericordia rispetto a quella più rigorosa che caratterizzava in quel lasso di tempo la Facoltà teologica dell’Università di Torino. Nei tre anni successivi, Giovanni curò quindi la sua preparazione, terminata la quale decise di iniziare l’edificazione dell’Oratorio di San Francesco di Sales, il cui fine era quello di occuparsi dei tanti adolescenti provenienti da famiglie povere in modo da sollevarli da una condizione di ignoranza e miseria che rischiava di comprometterne l’intera esistenza. Tutto l’inverno tra il 1841 e l’anno successivo, lo videro impegnato a rendere più solide le fondamenta della sua realizzazione, andando a cercare i ragazzi problematici che affollavano Porta Palazzo e piazza San Carlo. Anche le carceri cittadine furono da lui battute, con il risultato di strappare ben presto ad una vita di stenti molti giovani che desideravano soltanto poter avere la possibilità di una vita più dignitosa.



Nel frattempo era in pieno svolgimento il Risorgimento e proprio la linea prettamente rivolta alla salvezza delle anime dei suoi ragazzi, da lui scelta, si contrappose a quella portata avanti da don Cocchi, il quale cercò invece di affiancarsi ai moti di liberazione del nostro Paese, cercando di spingere i suoi ragazzi sul campo di battaglia di Novara, nel 1849. Una linea politicizzata, contro cui don Bosco combatté in modo tenace, in quanto contrario agli ideali liberali e massonici. In questa ottica arrivò addirittura ad ammonire Vittorio Emanuele II, con una profezia in base alla quale se avesse firmato la legge Rattazzi, poi effettivamente promulgata, che prevedeva la soppressione degli ordini religiosi e la confisca da parte dello Stato dei loro beni, la famiglia reale non sarebbe giunta alla quarta generazione.



Il suo operato fu molto lodato dall’opinione pubblica, quanto avversato dalla stampa liberale, avendo il merito di dare una nuova speranza a tanti ragazzi che i processi di industrializzazione e l’abbandono delle campagne, avevano ammassato nelle grandi città, senza però fornire loro una reale prospettiva di miglioramento sociale. Morto all’alba del 31 gennaio 1888, il suo corpo venne sepolto nell’Istituto salesiano Valsalice, per poi essere traslato dopo la beatificazione nel santuario di Maria Ausiliatrice. La sua beatificazione avvenne invece ad opera di Pio IX, nel 1929, seguita dalla dichiarazione della sua santità il primo aprile del 1934.