Sono stati raggiunti dalle ordinanze di arresto mentre erano già in carcere per traffico di droga, i presunti autori del triplice omicidio di Giuseppe Iannicelli, della sua compagna e del nipotino dell’uomo, Nicola “Cocò” Campolongo, avvenuto il 16 gennaio 2014 a Cassano allo Jonio, in Calabria. 

Gesù diceva che benché noi siamo cattivi, non esitiamo a dare cose buone ai nostri figli. Non è successo questo al piccolo Cocò, ucciso in un agguato che aveva come bersaglio suo nonno. Egli non ha avuto cose buone ma, si apprende ora dai carabinieri di Cosenza, veniva invece usato dal nonno come scudo protettivo per dissuadere i suoi nemici dal compiere agguati nei suoi confronti. Era andata bene molte volte: chi se la sente di sparare a un bambino? Anche i delinquenti hanno il loro codice d’onore. Ma quella volta no. Poteva essere testimone e riconoscere gli assassini. Per questo non c’è stata esitazione e Cocò è stato colpito da diversi colpi di arma da fuoco nell’auto del nonno, data poi alle fiamme.



Tanti sono i cattivi in questa brutta storia, che a suo tempo aveva commosso anche papa Francesco. Fanno bene le autorità dello Stato a congratularsi con le forze dell’ordine che hanno arrestato i due sicari. Fa parte della nostra natura di uomini anche il sentimento della giustizia, la soddisfazione per la verità venuta a galla.



Ma, abituati alle efferatezze di questo tempo tristo, non si può sottovalutare la sorda violenza alla quale questo bambino è stato sottoposto, non solo negli ultimi istanti della sua vita, ma anche prima, inconsapevole e fragile difesa al malaffare del nonno, che se lo portava dietro per stornare da sé i pericoli in cui incorreva nei suoi giri. Istinto di conservazione, si potrà dire. Ma anche miseria, avidità, paura e chissà quanto altro in un animo incupito.

Per lui invece, mamma agli arresti domiciliari, papà in carcere, forse andare in giro con il nonno, a piedi o in macchina, poteva sembrare un gioco. Si sa come i bambini si trovano bene e vanno volentieri con i nonni. 



Ma, lui non lo sapeva, era un gioco pericoloso, era un gioco tragico. 

Su di esso le parole umane devono arrestarsi. Restano in piedi solo quelle di Gesù: “Guardatevi dal disprezzare uno solo di questi piccoli, perché vi dico che i loro angeli nel cielo vedono sempre la faccia del Padre mio che è nei cieli”. 

Quanti sono però oggi, quanti nel corso degli anni i bambini disprezzati nelle stragi di vecchi e nuovi Erode, uccisi ancora informi nel seno della madre, abusati dai vizi dei grandi, adoperati come arma di ricatto nelle contese famigliari. Per questo un piccolo di tre anni diventa l’immagine dell’inermità di tanti altri, vittime in maniera diversa della violenza che intride il mondo.

Se essa viene dimenticata troppo spesso o taciuta, anche la gioia di Gesù risorto sembra svanire al di là delle nubi. Resta il dolore, resta l’indignazione. Ma è troppo poco per il povero cuore dell’uomo, che vorrebbe invece essere lieto nella tristezza, che vorrebbe vedere Cocò giocare al sicuro, ora, sotto lo sguardo di Dio.