Se c’è una cosa che Papa Francesco insegna, tra le tante in realtà, è l’assoluta libertà della sua testimonianza. Imprevedibile, spontanea, appassionata. Ricordate le telefonate a cittadini privati dei primi tempi del suo pontificato? Oggi sembrano cessate, probabilmente perché i media ne parlavano troppo, quando in realtà una telefonata è una delle cose più intime e private che ci siano. Questo papa incontra tutti, quando ne ha voglia e nei modi che vuole, anche andando a far sistemare gli oocchiali nel pieno centro di Roma. E quante cose fa che nessuno verrà mai a sapere.
Di sicuro né lui né il Vaticano ci tenevano che venisse reso pubblico l’incontro che ha avuto durante il viaggio americano con Kim Davis, l’impiegata americana finita in carcere per cinque giorni per essersi rifiutata di concedere i documenti matrimoniali a una coppia gay perché – spiegò – quel tipo di matrimonio, seppur civile, è contrario alla sua fede cristiana. Ci hanno pensato gli avvocati della donna a renderlo pubblico. Il Vaticano non ha smentito né confermato, semplicemente ha rifiutato ogni commento. Se c’è stato, era e doveva rimanere un incontro privato come chissà quanti ne tiene Francesco. Che cosa il papa le abbia detto, lo ha riferito la donna che rimane l’unica fonte sui contenuti dell’incontro. “Non me lo aspettavo, chi sono io per incontrare il papa, mi ha incoraggiato a essere forte, mi ha ringraziata per il mio coraggio” ha detto più o meno la Davis.
Immediatamente da una parte e dall’altra degli schieramenti pro e contro Kim Davis ci si è accaparrati la notizia: il papa la sostiene, il papa è contro il governo americano e le leggi sui matrimoni gay. C’è anche chi è rimasto deluso: perché un incontro segreto invece che pubblico? Il papa ha paura di offendere Obama, paladino dei matrimoni gay? Altri hanno suggerito che tale incontro sia stato invece inopportuno.
Sicuramente un episodio che apre scenari inediti. Non sui matrimoni gay che il papa non ha mai approvato, ma sul metodo, sulla necessità di battaglie in merito. Soprattutto sull’obiezione di coscienza e sul significato del termine.
Sull’aereo tornando dagli Stati Uniti (quando dell’incontro con la Davis ancora non aveva parlato nessuno) al papa è stato chiesto proprio questo e lui – pur non citando il caso della Davis – ha risposto a quello che sembrava un tranello, fargli dare un’opinione sul caso Davis: “Io non posso avere in mente tutti i casi che possono esistere di obiezione di coscienza. Ma sì, posso dire che l’obiezione di coscienza è un diritto ed entra in ogni diritto umano. È un diritto, e se una persona non permette di esercitare l’obiezione di coscienza, nega un diritto. In ogni struttura giudiziaria deve entrare l’obiezione di coscienza, perché è un diritto, un diritto umano. Altrimenti, finiamo nella selezione dei diritti: questo è un diritto di qualità, questo è un diritto di non qualità… È un diritto umano”.
Tra l’altro, facendo imbufalire alcuni di quei cattolici che vedono l’islam come il male del mondo, ha citato la “Chanson de Roland”, il canto epico nel punto in cui alcuni musulmani condannati alla decapitazione dai cristiani se non si fanno battezzare, accettano di morire pur di non abiurare la loro fede: “A me sempre ha commosso quando, da ragazzo ho letto – parecchie volte – la “Chanson de Roland”: quando c’erano tutti i maomettani in fila, e davanti c’era il fonte battesimale o la spada, e dovevano scegliere. Non era permessa loro l’obiezione di coscienza. No, è un diritto. E noi, se dobbiamo fare pace, dobbiamo rispettare tutti i diritti”. Un papa evidentemente che nessuno riesce a incasellare dalla sua parte, Francesco.
Il papa nessuno riesce a tirarlo dalla sua parte, ma questo episodio apre molti interrogativi a cui al momento è arduo rispondere.
L’obiezione di coscienza è già nel contesto giuridico di ogni paese democratico e la si applica in relazione a temi e leggi strettamente attinenti alla vita umana: servizio militare e aborto. Pochi si ricordano che il primo obiettore di coscienza americano ai tempi della guerra in Vietnam fu un giovane studente cattolico, David Miller, che lo fece esclusivamente per motivi religiosi: come cristiano ripudiava la guerra e l’uccisione dei propri simili. Non c’era alcun intento politico, ad esempio la contestazione dell’intervento militare americano in Vietnam e la politica imperialista degli Usa come poi invece sarebbe diventata la contestazione alla guerra nel paese asiatico, prendendo quasi esclusivamente schieramento ideologico (sinistra marxista contro America conservatrice e reazionaria. Che poi la guerra in Vietnam l’avesse iniziata un presidente democratico, John F. Kennedy e portata all’escalation il suo successore democratico Lyndon B. Johnson, è alquanto significativo). L’obiezione di coscienza è concessa poi a tutti i medici che sono contrari per motivi di fede o personali all’aborto.
Nel caso di Kim Davis non c’è di mezzo vita o morte, ma opposizione a una legge che non si condivide, i matrimoni gay, dunque è più giusto parlare di disubbidienza civile, anch’essa molto praticata, pensiamo a quella in materia fiscale ad esempio. E’ una differenza importante perché nel secondo caso c’entrano poco i motivi religiosi.
Ma le domande che questo episodio pone sono anche altre. La Davis parla di rifiuto di concedere l’autorizzazione a un matrimonio gay perché contrario alla sua fede cristiana. Dal punto di vista della coerenza, seguendo parola per parola la Bibbia – come la Davis fa nel caso dei matrimoni omosessuali – anche i matrimoni civili e quelli di persone divorziate sono altamente contrari alla fede cristiana, ma la donna non si è mai rifiutata di concedere la documentazione necessaria a questi. La Davis poi è pluridivorziata e aspettava un figlio da un quarto uomo quando ancora era sposata con il terzo marito. Non esattamente un esempio di fedeltà ai dettami della fede che invece applica fino a essere portata in carcere nel caso dei matrimoni gay. Curioso no? La domanda è allora questa: quante leggi un cristiano dovrebbe rifiutarsi di applicare per essere obbediente alla sua fede? Innumerevoli, pensiamo al mondo del lavoro dove non vige esattamente una logica cristiana.
Inoltre: è lecito disubbidire a una legge votata da un governo democraticamente eletto in un paese democratico? Altra cosa è un regime dittatoriale che impone come in Cina la legge del figlio unico in modo autoritario. Non è più democratico partecipare al gioco della democrazia e battersi perché in parlamento arrivi a essere eletta una maggioranza che coincida con quello che tu ritieni giusto, ad esempio il no ai matrimoni gay?
Quante sono le leggi che non ci piacciono anche per soli motivi religiosi ma che un regime di convivenza civile e appunto democratico richiede di rispettare? Ecco perché è importante chiarire la differenza tra obiezione di coscienza e disobbedienza civile. La prima riguarda vita e morte e va garantita assolutamente, l’altra riguarda le coscienze personali e non c’è niente di scandaloso se vai in galera quando disobbedisci alla legge se hai intenzione di portare avanti una tua battaglia civile. Non è cioè uno stato perquisitorio e cattivo quello che ti manda in carcere. Semplicemente la pensa diversamente da te.
Questo caso sembra potenzialmente allargare l’area dei cosiddetti temi sensibili che legittimerebbero una obiezione. A ben vedere questa condotta è spesso inquadrata più correttamente sotto una più generale “libertà di coscienza” che è quella che pare voglia intendere il papa. Un’obiezione di coscienza fronteggia un atto opposto di disvalore estremo e immediato contro la persona. La libertà di coscienza può essere invocata in un caso come questo, dove all’ipotesi di disobbedienza alle leggi civili si oppone l’eccesso della sanzione dell’arresto e della detenzione.
Un interessante commento letto in una discussione su Facebook sull’argomento sottolineava che “a me preoccupa l’idea di ‘obiezione di coscienza’ come ‘diritto umano’. Il diritto umano è un diritto garantito dallo stato e lo stato deve anche garantire l’ordine, ovvero l’applicazione delle leggi positive. Ne consegue che lo stato si troverà (e si trova) in una impasse. Se a questa tesi ‘difensiva’ non si affianca una tesi ‘propositiva’ di allineamento del diritto positivo alla legge naturale, ci troveremo (come cristiani) di fronte ad un ‘non expedit’ magari non formale ma sostanziale e forse (e dico forse) alla mercè di una possibile persecuzione conseguente alle ripetute disobbedienze civili”.
Dire che il matrimonio è della società civile è giusto perché non tutti sono credenti. Per il cristiano è un sacramento perché Gesù viene a “prendere dimora” tra i due sposi che glielo chiedono con il matrimonio. Ma questa consapevolezza è frutto di fede, non si può certo imporre o dare per supposto che debba essere così per tutti. E visto che siamo in regimi democratici, se la maggioranza della popolazione vota a favore del matrimonio gay, è giusto rispettare la decisione della maggioranza.
La storia di Kim Davis è una storia tipicamente americana, la donna non è neppure cattolica, e sappiamo quanto i fedeli protestanti americani a volte scivolino facilmente nel moralismo più accecante, nello schieramento di parte politica, fino a spingere persone evidentemente con scarso controllo psicologico a sparare ai dottori abortisti. L’insegnamento di questo papa è cosa ben diversa. Per quanto ne sappiamo, può aver incontrato Kim Davis per ricordarle che il costruire muri non porta mai a niente. Ma le ha regalato un rosario, che alla fine è la cosa più bella di questa storia.