Dopo il gran rumore di questi mesi, settimane, giorni, dopo le brutte dichiarazioni, risposte e controrisposte, ieri è arrivata la Messa del Papa ad apertura del Sinodo dei vescovi sulla famiglia. Una Messa che fa quello che fa ogni Messa, ogni mensa: riunisce i figli intorno al Padre, nella casa del Padre. Li riunisce in unità. Tutti. E l’omelia del Papa, anche se parla di tante cose, parla solo di questo: o siamo tutti nella casa del Padre o non è Chiesa. Se ne manca uno, fosse anche il più ferito, manca tutto. Guardo il Papa e mi dico: deve essere meraviglioso avere una fede così, come lui, il Papa, intendo. Un padre che pensa a me e dice: se non ci sei tu, se di noi ne manca solo uno, non va bene, anzi va malissimo.
Mi piacciono i pensieri del Papa e mi piacciono le parole del Papa. Proprio le singole parole. Per esempio: “L’amore duraturo, fedele, coscienzioso, stabile, fertile è sempre più deriso e guardato come se fosse roba dell’antichità. Sembrerebbe che le società più avanzate siano proprio quelle che hanno la percentuale più bassa di natalità e la percentuale più alta di aborto, di divorzio, di suicidi e di inquinamento ambientale e sociale”.
Dopo tanto rumore il Papa porta parole che fanno silenzio e danno pace.
Non va mai contro: solo a favore, solo unità, solo ponti. La ridice quella parola, “ponte”, la parola che fa tanto “pontefice”. Non lo fa per una tecnica di marketing, come quando si dice che il messaggio va ribadito, perché il Papa non vuole venderci nulla, solo farci sentire che in Chiesa siamo a casa nostra e siamo più che benvenuti: siamo attesi.
Il Papa se vede un uomo che sbaglia non vede lo sbaglio ma vede l’uomo. Ferito. Gli interessa il male che gli fa, il dolore che fa e gli fa, che subisce, che nasce. “La Chiesa è chiamata a vivere la sua missione nella carità che non punta il dito per giudicare gli altri, ma — fedele alla sua natura di madre — si sente in dovere di cercare e curare le coppie ferite con l’olio dell’accoglienza e della misericordia”. Non parla contro il male con uno scontro diretto ma a favore del bene con un soccorso diretto. Come una madre che soccorre un figlio: che è successo? Dove ti fa male? Vieni qui. Fammi vedere. Queste sono le prime parole. Poi, molto dopo, chiede perché, come hai potuto. E forse, spesso, non ce ne sarà più bisogno a volte, perché l’amore, quando passa, ripara e fa risorgere. Spesso non punisce perché il male “fa male”: il suo stesso dolore è la sua punizione.
Mi insegna il Papa: a me che tante volte guardando un peccatore, vedo un peccato e basta, e non vedo l’uomo ferito. Mi accorgo di sbagliare quando mi viene voglia di segnare i peccati con la matita blu: errore grave, insufficienza grave. Ma al Papa interessa la vita e la vita quando soffre, geme. E non ci vuole un correttore ma un padre con cuore di madre. Fa un elenco delle nostre ferite, ferite singole e ferite comuni a tutti. “Ecco, allora, che la solitudine colpisce gli anziani, i vedovi, i coniugi abbandonati, le persone incomprese ed inascoltate, quelle chiuse nell’egoismo, nella violenza, nello schiavismo del ‘dio denaro’; i migranti ed i profughi in fuga da guerre e persecuzioni, i giovani vittime della cultura del consumismo e dello scarto”.
Mi colpisce che le guerre e le loro vittime, profughi e migranti, siano alla fine dell’elenco. Non batte il ferro caldo delle guerre e dei relativi drammi. Il papa lo sa che la guerra non nasce da sola. Fa rumore, fa male, si guadagna i titoli di apertura e le prime pagine ma la sua radice è nascosta giù nel cuore dell’uomo: egoismo, solitudine, incomprensione, violenza, schiavismo del dio denaro. Anziani soli, giovani persi, la famiglia che non ce la fa. Eccola la radice. Se vuoi cambiare il mondo, cambia te stesso, diceva qualcuno. Non posso fermare le guerre ma posso amare e comprendere e scusare e chiedere perdono di più. Ci vuole coraggio a parlare così perché sarebbe facile condannare, schierarsi, esortare, benedire, maledire. Ma il Papa non è innanzitutto un Capo di Stato: è un padre con i suoi figli, è Gesù sull’altare. O ci siamo tutti o manca tutto.
“Solo alla luce dell’amore insegnato da Gesù, quell’amore folle di gratuità, appare comprensibile anche la follia della gratuità di un amore coniugale unico e fino alla morte”, che supera individualismo, egoismo e legalismo, perché in fondo gli uomini hanno “sete di infinito”. “Per Dio il matrimonio non è utopia adolescenziale, ma un sogno senza il quale la sua creatura sarà destinata alla solitudine!”. Usa le parole del Vangelo: da duemila anni, lo dice Paolo, parlare così è follia e stoltezza. Folle gratuità, folle amore. E poi una parola moderna e che ogni uomo capisce: sogno. Il sogno di Dio sull’uomo, sulla famiglia, sul matrimonio. Non voglio scrivere e trascrivere altro. L’omelia è lì da leggere e da ascoltare. So solo che sentire parlare del sogno di Dio mi fa innamorare del matrimonio, della famiglia, della bellezza dell’amore umano, più di mille canoni ben citati di diritto canonico.