Mi sembra che il Sinodo inizi bene. Anche se, bisogna dirselo, la Chiesa sarà sempre un po’ incomprensibile. Di solito non è così. Nelle riunioni che faccio io, per esempio, come andrà a finire si capisce subito. Perché in realtà, cioè, non c’è dialogo. Ci si riunisce perché c’è uno che ha già deciso tutto, ma vuol dare l’impressione che si decide insieme perché pare brutto che faccia tutto lui; così fa finta di dialogare. Gli altri, sì, prendono la parola, dicono qualcosa, ma non è un dialogo. Non perché nessuno parla ma perché nessuno ascolta. Invece il Papa nel discorso d’apertura del Sinodo dice che bisogna “valutare e riflettere insieme”. Mettere sul tavolo carte, pensieri ed esperienze sapendo che vuol dire aprire cuore e anima e tirare fuori il meglio di noi stessi: coraggio, parresia — sarebbe “dirsi tutto” — zelo, saggezza, franchezza. Lo scopo non è la definizione della famiglia, del matrimonio, dell’amore, di chi sta dentro o fuori, no. Lo scopo è la salvezza delle anime. Finché c’è vita c’è speranza, dice un proverbio: qui vale “finché c’è vita c’è salus animarum“. Finché c’è vita, cioè, ci sono fede speranza e carità. Le definizioni verranno dopo. Se partissimo dalle definizioni sarebbero decorazioni, così le definisce il Papa.
Se guardo i Padri sinodali con calma mi tornano in mente quelle volte che gli amici dicono: perché non ne parliamo intorno ad un tavolo? Così dice un gruppo di colleghi che vede la necessità di parlare di qualcosa ma vede anche il pericolo di trascendere dalla discussione alla lite, dalla ricerca di un confronto all’incomprensione del pregiudizio. Allora cerca un tavolo intorno a cui sedersi. Magari agli inizi ci sono gli scontri ma poi diventano incontri che finiscono bene. Non perché uno sappia prima come va a finire o perché non si discuta anche animatamente, ma perché da seduti, con le carte sul tavolo e gli occhi alla stessa altezza, non c’è cuore che non si sintonizzi.
Così il Papa apre il Sinodo e dice che “non è un Parlamento, ma un’espressione ecclesiale che legge la realtà con il cuore di Dio”. Dio è la carta segreta del Sinodo e c’entra col tavolo degli amici perché, nel gruppo di persone che parlano, Dio è uno dei protagonisti. Seduti attorno a un tavolo, si cerca di leggere la realtà delle nostre vite con gli occhi più attenti, quelli di Dio. “La Chiesa che cammina insieme per leggere la realtà con gli occhi della fede e con il cuore di Dio; è la Chiesa che si interroga sulla sua fedeltà al deposito della fede, che per essa non rappresenta un museo da guardare e nemmeno solo da salvaguardare, ma è una fonte viva alla quale la Chiesa si disseta per dissetare e illuminare il deposito della vita”.
È una cosa bella: divina e umana. Quanto vorrei che molte delle riunioni a cui prendo parte io fossero davvero così. Un luogo dove tutti si parla non perché “fa democratico” ma perché è così che si fa in una famiglia: tutti dicono quello che vivono, che provano e sono interessati l’uno dell’altro e della famiglia intera.
Un Sinodo sulla famiglia è come dire un Sinodo sulla Chiesa perché la Chiesa è una famiglia, la famiglia di Dio. È davvero un unico corpo, il corpo di Cristo. Non è una questione politica, parlamentare, partitica. Per questo il Sinodo si muove nel seno della Chiesa perché è lì, nel seno della Chiesa, che sono i suoi figli e i suoi “padri”, che ora sono qui a parlare della loro Famiglia.
Alla fine di questo breve discorso il Papa ringrazia tutti: chi c’è per lavorare intorno al tavolo, i padri sinodali, e chi c’è per lavorare dentro e fuori, i giornalisti. E per benedire chiama una Famiglia, che parlava la sera intorno ad un tavolo di legno. “Iniziamo il nostro cammino, invocando l’aiuto dello Spirito Santo e l’intercessione della Santa Famiglia: Gesù, Maria e san Giuseppe. Grazie!” Belli i discorsi che finiscono per far iniziare gli altri a parlare.