La vicenda di Raffaele Peluso, l’agronomo in servizio presso il servizio infrastrutture del comune di San Giorgio a Cremano nel napoletano, finito agli arresti domiciliari insieme ad altre cinque persone, è emblematica di come ormai faccende come corruzione, mazzette, partite di giro fatte pagare ai contribuenti siano una pratica assodata, tanto normale che scemo chi non ne approfitta. 



In un’intercettazione ambientale di una telefonata alla compagna, la quale gli obietta che non hanno i soldi, Peluso le propone di aggiustare i computer di casa facendoli pagare a un imprenditore, ora agli arresti domiciliari per gli stessi motivi, come anticipo di un appalto, aggiungendo “e noi li paghiamo come lavori sotto altra forma” e nel finale, ciliegina sulla torta: “È normale”. Non è finita: quando la donna gli fa notare la disonestà, con la frase “Va bene, ma tu rubi”, il Peluso replica con meravigliosa disinvoltura: “Eh certo, che cosa mi importa”. 



Un comportamento fraudolento che ha qualcosa di bulimico, anche nell’uso del lessico, come vien fuori da quest’altra intercettazione: “Tu che fai, dici che io mangio, non ti lascio proprio niente. Siccome sono migliore di te, oppure mi vogliono più bene di te, io mi fotto tutte le cose. Poi fammi vedere cosa fai”: per “mangiare” qui si intendono i soldi, è ovvio. Se le intercettazioni proveranno che i fatti stanno proprio come sembra (Peluso avrà tempo e diritto di difendersi), dimostreranno anche il preoccupante abisso di corruzione in cui stiamo precipitando. 



La cronaca, d’altronde, ce ne parla ormai quotidianamente e l’impressione generale è che, per uno che se ne prende, decine continuano impunemente a rubare i nostri soldi. Ormai il furto di denaro pubblico sembra eretto a sistema: tanto peggio, sembra, per chi non è nel posto giusto. Non solo: il baratro economico e legale è anche umano: nessun pentimento, nessun rimorso, nessun dubbio sul rubare. “È normale”, appunto. E “cosa mi importa”? Siamo alle soglie della vanteria: stupido chi non ruba. Se le cose stanno veramente come pare, rassegniamoci, non c’è magistratura che tenga. Per quanti auguri possiamo fare a chi ha il compito di punire i reati e sanare il sistema, la lotta è perduta, il sistema è marcio. 

Innanzitutto il sistema morale. Fa specie infatti accorgersi che, nonostante l’enfasi che gli organi di informazione danno alla scoperta di questi reati — che avvengono dappertutto, in questo l’Italia è proprio unita — questi grassatori continuino bellamente a mungere la mucca che pascola tra Stato, imprenditori, appalti, spese pubbliche. La macchina della giustizia, anche se funzionasse meravigliosamente bene, sarebbe spuntata; figuriamoci così. Altre barriere al dilagante malaffare non ce ne sono. Dio solo sa chi fermerà questi predoni. 

Già, Dio. Tornerebbe utile avere ancora il senso che avevamo, per cui rubare non solo è reato, ma anche peccato e ritenere tuttora che, anche se la fai franca con la polizia, dovrai prima o poi trovarti al cospetto di ben altro Giudizio. Ma è proprio quello che abbiamo smantellato. E una società libera dall’incidenza nella vita quotidiana della morale religiosa si è ritrovata anche libera di ritenere il furto una cosa “normale”. Contenti noi…