La Corte ha stabilito che non è reato selezionare gli embrioni nei casi in cui la pratica sia finalizzata ad evitare l’impianto di quelli affetti da gravi malattie trasmissibili. La sentenza 229/2015, depositata mercoledì, è stata redatta dal giudice Rosario Morelli. La questione di costituzionalità era stata sollevata dal tribunale di Napoli, dopo che un gruppo di medici erano stati rinviati a giudizio con l’accusa di effettuare selezione genetica e sopprimere gli embrioni affetti da patologie. Ne abbiamo parlato con Alberto Gambino, professore di Diritto privato e direttore del Dipartimento di Scienze Umane dell’Università Europea di Roma.



Professore, la stupisce questa sentenza della Corte costituzionale?

Francamente no. E’ una sentenza che si colloca nel percorso di orientamenti su cui, ormai da alcuni anni,la Corte costituzionale si è attestata. Non è una sentenza sorprendente, perché già le precedenti decisioni della Corte costituzionale andavano in questa direzione. Mi riferisco a quella che eliminava il limite dei tre embrioni e a quella più recente che ha detto sì alla fecondazione eterologa.



Qual era la logica di queste sentenze?

In entrambi i casi c’era sullo sfondo un ridimensionamento dell’interesse giuridico dell’embrione e del nascituro, tanto che si metteva in conto che alcuni embrioni sarebbero stati distrutti o comunque crioconservati. Il diritto alla salute psicofisica della madre prevale sul diritto alla vita del feto, proprio come nella legge 194. Di fronte ad alcuni embrioni che possono avere delle patologie, li si eliminano in quanto possono provocare un danno psichico alla donna. Anche ne caso dell’eterologa, il diritto del bambino ad una doppia figura genitoriale naturale, retrocede davanti al benessere di una coppia che per avere figli ha bisogno di un terzo soggetto, dando così al bambino tre riferimenti genitoriali, di cui uno sicuramente non biologico.



In fondo, perché proibire con la legge 40 quello che si consente con la legge 194?

In linea di principio, quella tra l’embrione prodotto in provetta e l’interruzione di gravidanza con la legge 194 non è un’assimilazione corretta. Con la legge 194 ci troviamo di fronte a una gravidanza già in essere nel corpo di una donna, e che a un certo punto diventa indesiderata perché può comportare alcuni pericoli anche psichici. E la compenetrazione di una vita all’interno del corpo di un’altra vita rende le cose estremamente complesse. Nel caso dell’embrione prodotto in provetta, siamo invece di fronte a un atto di volontà che attraverso uno strumento artificiale porta alla creazione di vita umana, che tuttavia nella fase della diagnosi rimane autonoma, al di fuori dell’utero della madre, in provetta appunto. La coppia in un primo momento vuole il figlio, tanto da produrlo in provetta, ma poi non lo vuole più se non presenta tutte le caratteristiche fisicamente ineccepibili. La genesi e soprattutto la dinamica di queste due situazioni sono dunque del tutto diverse. Quando la vita umana discende da una dichiarazione di volontà che attiva una tecnica artificiale, l’embrione, creato in provetta, ha una vita propria, autonoma e distinta da quella dei suoi genitori.

Secondo lei si può dire con certezza se un embrione nato in provetta porterà alla nascita di un bambino malformato? 

Ragionevolmente direi di no, in quanto quando l’embrione è molto piccolo ed è difficilissimo distinguere quale sarà lo sviluppo reale di una pur minima imperfezione. Se si apre all’idea che qualsiasi imperfezione può consentire di eliminare un embrione a favore dell’altro embrione sano che è stato prodotto, temo che – oltre a sancire la morte di un essere umano senza neanche la giustificazione di una sua “dipendenza” dal corpo di un altro essere – ci troviamo all’inizio della possibilità di selezionare embrioni sempre più perfetti. A questo punto la distinzione tra sano e non sano è davvero molto sfumata.

 

Questa è l’ennesima sentenza della Consulta che smantella la legge 40. Vuol dire che quest’ultima è stata scritta male?

La legge 40 è nata per cercare di porre un rimedio ad un mercato della riproduzione in provetta senza regole. Il limite delle norme poi introdotte rimane quello di consentire che la vita umana possa essere creata fuori dall’utero della donna, cioè in una provetta. Una volta che si consente questo, l’essere umano nato in provetta assomiglia sempre di più a una cosa e sempre di meno a una persona. La Corte costituzionale ha preso atto di questo affievolimento dei diritti dell’embrione sempre più funzionale a un interesse della coppia, quello di avere un figlio e ora di avere un figlio sano.

 

Può spiegare meglio qual è il limite della legge 40?

La legge 40, nel momento in cui creava la possibilità di produrre tre embrioni in provetta, metteva in conto che qualcuno di questi potesse non proseguire il suo sviluppo e, dunque, la sua esistenza. La legge era imperfetta, anche se in quel momento storico non si poteva fare diversamente. Davanti a una situazione di totale assenza di regole, la legge ha cercato di porre rimedio. Ha posto dei rimedi che oggi sono ritenuti incoerenti dalla Consulta in quanto contrastanti con il dato – per la Corte già presente nella stessa legge 40 – che l’embrione non ha una tutela assoluta come se fosse una persona. E quindi nel bilanciamento tra la salute psichica della coppia e la vita dell’embrione, si fa prevalere la prima, come del resto accade nella legge 194. Potremmo dire in definitiva che queste decisioni della Corte costituzionale hanno all’apparenza una loro coerenza intrinseca, eppure discendono tutte da un assioma normativo che occorrerebbe rimettere in discussione e cioè che l’embrione abbia davvero meno diritti di un essere già nato. E se nel caso della legge sull’interruzione della gravidanza, i diritti affievoliti del feto sono in qualche modo collegati ad un dato di fatto e cioè che la vita del feto dipende concretamente da chi lo porta in grembo, nel caso dell’embrione così non è, perché – come detto – una volta in provetta l’embrione non dipende fisiologicamente dal corpo di una donna e, dunque, potrebbe proseguire la sua esistenza nel grembo di qualcun altro che lo volesse accogliere. Anche per questo l’eliminazione degli embrioni imperfetti non è coerente e finisce per ridurli ad oggetti, la cui decisione esistenziale dipende arbitrariamente e senza una reale giustificazione da chi li ha procreati, se non appunto quella di considerare tali embrioni “di proprietà” dei titolari dei gameti che vi hanno dato vita.

 

(Pietro Vernizzi)

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