Una storia incredibile, misteriosa e purtroppo con lati oscuri nella giustizia italiana: una donna libera come Lea Garofalo ha perso la vita per ordine della ‘Ndrangheta dopo una vita di fuggitiva dalle minacce mafiose e con uno stato che ad un certo punto è come se l’avesse abbandonata. Stasera vedremo la sua storia in un film in prima tv, Lea, di Marco Tullio Giordana e punto sicuramente interessante da approfondire saranno le testimonianze rese dalla donna per cercare di incastrare gli odiosi mafiosi. Lea decide infatti di testimoniare sulla faide interne della sua famiglia – una cosa mafiosa – con il suo ex marito, Carlo Cosco. I colleghi di Rai News riportano alcuni stralci dove si racconta la dichiarazione di Lea agli inquirenti riguardo alla “bestia nel cuore” ovvero il suo ex. Dal 2002 fu sottoposta al programma di protezione testimoni: Lea interrogata dal pm Antimafia Sandro dolce, riferì dell’attività di spaccio di stupefacenti condotta dai fratelli Cosco grazie al benestare del boss Tommaso Ceraduo. Inoltre, queste dichiarazioni finali che Rai News riporta per integrale: «L’ha ucciso (Totonnu u lupu) Giuseppe Cosco, mio cognato, nel cortile nostro» incolpando così di quell’omicidio prorpio il fratello del proprio marito e fornendo anche il movente. Insomma, di coraggio questa donna, ne aveva da vendere.

Una storia di coraggio, un film come “Lea” che oggi in prima visione su Rai 1 presenta la vita di Lea Garofalo, la testimone di giustizia contro la mafia calabrese, la celebre ‘Ndrangheta, e che purtroppo ne è rimasta vittima lo scorso 24 novembre 2009. Proviamo a ripercorrere la storia reale di questa donna, esempio di coraggio e e con una vita ai limiti del possibile per quando capitato. Lea Garofalo nasce a Petilia Policastro in provincia di Crotone, in Calabria, all’interno di una famiglia di malavitosi facenti parte della ‘Ndrangheta; fin dall’infanzia la sua vita sembra segnata, in questi ambienti le donne non hanno diritto di studiare ne di sperare in un futuro diverso da quello che la famiglia ha scelto per loro. Lea a quindici anni incontra Carlo Cosca, uomo fidato di suo fratello Floriano capo cosca locale, che gestisce lo spaccio e il giro di usura a Milano; la ragazza si innamora perdutamente dell’uomo e tra loro inizia una storia d’amore. Alla fine degli Anni Ottanta Lea si trasferisce a Milano per vivere con Carlo e per lasciare per sempre le strade insanguinate della sua Calabria; purtroppo l’ambiente in cui si ritrova a Milano è lo stesso, fatto di spaccio di droga e di picciotti che si uccidevano tra di loro nei palazzi di Quarto Oggiaro.

Dopo pochi anni, nonostante Lea sia ancora una ragazzina, nasce Denise e nel frattempo il marito Carlo diventa uno dei capi della criminalità organizzata di Milano; con la nascita della figlia in Lea cresce la voglia di liberarsi di tutto il male che incombe sulle loro vite, per la bambina desidera una vita libera da ogni violenza e prende la drastica decisione di lasciare il marito. Nel 2002 la donna decide contro ogni aspettativa di diventare collaboratrice di giustizia; grazie alle sue testimonianze vengono a galla numerosi dettagli su alcuni omicidi avvenuti negli anni novanta a Milano e che vedevano coinvolti in prima persona suo fratello Floriano e il fratello dell’ex marito Giovanni. Lea insieme, alla figlia Denise, viene inserita all’interno di un programma di protezione e trasferita a Campobasso; qui purtroppo le sue testimonianze non sono state ritenute indispensabili a importanti svolte nelle indagini e le viene revocato il sistema di protezione. La donna ha fatto vari ricorsi tra cui quello decisivo al Tar che nel 2009 le ha concesso la riammissione al programma di protezione; a questo punto la donna sfiduciata nelle giustizie e in effettive difficoltà economiche decide di tornare a Petilia Policastro, ma a causa dell’emarginazione da parte di tutti i parenti e dalle persone del paese torna con la bambina a Campobasso.

Da questo punto inizia l’incubo per la donna; secondo quello che la stessa Lea ha denunciato ai Carabinieri di Campobasso, la donna è stata aggredita a casa da parte di un sicario inviato da Carlo Cosco e solo grazie all’intervento di Denise è riuscita a salvarsi. L’uomo, da quello che emerse successivamente, con la ricostruzione fatta anche dai giornalisti de Il Post, di fare uccidere Lea Garofalo perché preoccupato di quello che la donna avrebbe potuto testimoniare all’interno di un processo del Novembre 2009 a Firenze. Sempre nel Novembre 2009 Carlo Cosco riuscì a convincere la Garofalo, che si trovava in Calabria con la figlia, di raggiungerlo a Milano per discutere del futuro di Denise; una volta insieme, mentre la figlia con una scusa è stata portata a casa degli zii paterni, Lea che rimane sola con Carlo, scompare nel nulla. All’appuntamento con la figlia in stazione Centrale non arriverà mai; Carlo con l’aiuto d due dei suoi fratelli la fa salire su un furgone e la tortura per farsi raccontare cos’ha testimoniato ai carabinieri, poche ore dopo va con la figlia che ha solo 17 anni dalla polizia per denunciarne la scomparsa.

Denise a questo punto torna in Calabria, è sola e disperata e trova conforto in un ragazzo e nella loro storia d’amore; purtroppo capisce presto che l’ambiente è spietato e che il ragazzo è stato assoldato dal padre per sorvegliarla. I due verranno in seguito arrestati per l’omicidio di Lea Garofalo e Denise scappa, torna al Nord va dai magistrati e anche lei finisce all’interno di un programma di protezione. Dalle indagini e secondo le testimonianze Lea sarebbe stata torturata e sciolta nell’acido; il processo, come raccontano i colleghi de Il Fatto Quotidiano, si chiude con cinque ergastoli tra cui anche quello a Carlo Cosca, l’ex marito. In realtà le indagini continuano anche dopo la fine del processo e si scopre che in realtà la Garofalo è stata torturata, bruciata e seppellita in un campo della Brianza.