BRUXELLES — È passata solo una settimana, ma la Bruxelles di oggi non è più la stessa. Lunedì scorso le notizie su terroristi nascosti in città e gli allarmi per possibili attentati destavano preoccupazione soprattutto negli amici e parenti all’estero. Pur con tanta polizia e tanto esercito in giro, abitanti e “visitatori” facevano le cose di sempre. Con un po’ più di attenzione, forse, si prendeva la metropolitana una volta in meno, si sceglieva un ristorante più fuori mano. Qualche auto fatta brillare dalla polizia per timore di una bomba a bordo suscitava commenti anche un po’ leggeri (“ma l’assicurazione coprirà i danni al povero proprietario?”). E tutto continuava come d’abitudine.
Nel fine settimana in centro tanti negozi chiusi, la metropolitana ferma, i grandi eventi (calcio, concerti…) annullati. Il livello di allerta era massimo, la città un po’ vuota. Ma, complice anche il cattivo tempo, la vita si svolgeva più o meno normale, con un po’ di inquietudine, ma soprattutto con la speranza che non durasse troppo. E magari si ricordavano le volte che si era andati nei quartieri più “caldi”, lo strano effetto che aveva fatto trovarsi ad essere l’unica non velata alla fermata dell’autobus, ma che ben più strano effetto faceva ripensarci sentendo tutto quello che c’è dietro, che c’è dentro…
Oggi è tutto un altro mondo. Le scuole di ogni ordine e grado sono chiuse e la metro è ancora ferma. Le istituzioni europee fino a domenica pomeriggio avevano confermato le riunioni in programma, motivando che “non ci sono minacce specifiche”, ma poi giorno per giorno vengono annullate. Gli uffici sono aperti, ma il consiglio è di lavorare da casa se necessario. Le strade del centro sono militarizzate e deserte, niente auto, solo taxi, la gente evita i luoghi pubblici, i centri commerciali, i posti turistici. Si dice e ci si dice che fare vita normale è la sola vera risposta, che cedere alla paura è dargliela vinta. E nei quartieri residenziali c’è gente in giro, di tutte le razze, età e condizioni sociali, nessun ha il muso lungo, sono solo persone che hanno voglia di vivere.
Qualcuno si chiede quanto costano e quanto saranno efficaci queste misure di sicurezza che non contribuiscono a tranquillizzare la popolazione e anzi forse creano paure esagerate.
E qualche funzionario forse non era d’accordo di sospendere le riunioni e vi è stato costretto da ordini superiori, e anche dal ritiro di molti dei partecipanti previsti. Ma il lavoro non si interrompe, ci sono riunioni da fare, eventi da preparare, documenti da scrivere. Continuano normalmente ad arrivare le news dalle istituzioni con l’agenda per i meeting della prossima settimana, e non si sa bene come comportarsi. In definitiva si va avanti come se nulla fosse ma preparati ad annullare tutto anche all’ultimo minuto.
Domani dovrebbe riaprire tutto, anche se lo stato di allerta rimane confermato fino a lunedì 30 novembre. Soprattutto c’è un po’ di trepidazione in attesa di venerdì, il giorno critico.
Tutto questo succede proprio a Bruxelles, la capitale d’Europa, il luogo dove si decide (quasi) tutto, anche le politiche per lo sviluppo dei paesi da cui i terroristi provengono, dove sono stati addestrati, da dove ricevono ordini. Un bel paradosso.