KAMPALA — Un popolo di 30 milioni di abitanti, con una natalità che non accenna a diminuire, aspettava Papa Francesco. L’attesa di un dono grande, indispensabile: la speranza vera e concreta che il papa, come padre dell’umanità, sa comunicare per come vive, per la passione che in ogni istante manifesta nei confronti di ogni singola persona che incontra, soprattutto degli ultimi e degli emarginati.



Tanti, tantissimi i giovani — d’altra parte qui si vive in media fino ai 50 anni — oggi popolano l’Uganda, e questi, a prescindere dalla loro appartenenza religiosa, tutti aspettavano Francesco.

La crescita economica che procede a gran ritmo, del 7 per cento ogni anno, non basta a sconfiggere la tremenda povertà diffusa: con un reddito annuo medio di 380 dollari e una disoccupazione tra i giovani alle stelle la popolazione soffre, e quindi cerca qualcuno che alimenti la speranza che ce la potrà fare.



Perché le ferite sono tante e Francesco le conosce.

L’Uganda ha fatto tanto per combattere la pandemia di Hiv/Aids che ha decimato la popolazione nei primi anni 90, pur senza riuscire a sconfiggerla del tutto: sono 150mila i nuovi casi di infezione ogni anno, ancora oggi; i bambini e le donne sono ai margini della società, sono i più vulnerabili.

In questa realtà drammatica è giunto Francesco e tutti si attendono che sappia abbattere, come sa fare lui, tutti i muri, per far circolare la  fiducia necessaria a costruire un Paese dove ci sia posto per tutti, a partire dall’uomo, dalla cura della singola persona. 



Ricordando i martiri sia cattolici che anglicani, Francesco ha proprio sottolineato questo: “I martiri ci ricordano che nonostante le diverse credenze religiose e convinzioni, tutti siamo chiamati a cercare la verità, a lavorare per la giustizia e la riconciliazione, e a rispettarci”.

Questo il solco dell’impegno della ong Avsi che da decenni è in prima linea attraverso i suoi operatori nel sostegno di scuole e istituti di formazione di vario grado che aiutano la persona a scoprire la propria dignità, la propria identità. Un piccolo contributo, ma che genera processi positivi che concorrono, insieme ad altri, alla rinascita dell’umanità ugandese.

Anche noi, però, partiamo dal nostro stesso bisogno di essere accompagnati, di ricerca del bene e del valore insito in ognuno di noi. E’ da questo bisogno che partiamo, ogni giorno, nel corso del nostro lavoro: cerchiamo di accompagnare le persone che incontriamo, affinché ognuno di loro possa scoprire se stesso e l’infinito rispetto che merita. Perché i semplice trasferimento di abilità e conoscenze non è sufficiente. Non basta se non contribuisce alla promozione della dignità di ogni essere umano. 

Il rispetto della persona è l’unica arma di cui disponiamo. Ed è la ragione per cui, da sempre, occorre mettere al centro dei suoi interventi l’educazione, come metodo per riscoprire continuamente la bellezza della nostra vita. E’ l’educazione che ci mette in moto, la vera emergenza e l’unica strada dello sviluppo.

Non è un caso che il primo incontro di papa Francesco in Uganda è stato con i catechisti e gli insegnanti. “Andate senza paura in ogni città e villaggio di questo Paese, senza paura di diffondere il buon seme della Parola di Dio”: questo l’invito caloroso rivolto a chi ha scelto di accettare la sfida di educare, la più ardua ma la più indispensabile.

Noi qui in Uganda attendevamo Papa Francesco per questo; perché abbiamo bisogno di essere continuamente educati e il suo sguardo, nella semplicità e fermezza di padre, può essere la guida.

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