KAMPALA — Alla fine le zanzare sono arrivate. E hanno anche colpito. Micidiali e a nugoli, complice uno specchio d’acqua, dai significati simbolici e dal colore fangoso, su cui gli organizzatori avevano piazzato l’altare. Chissà se i repellenti tanto caldeggiati da Francesco hanno sortito effetto. Certo i mosquitos hanno mangiato vivi i giornalisti al seguito e anche i 300mila fedeli arrivati da tutto il paese in pellegrinaggio al luogo del supplizio dei Martiri ugandesi.
Il luogo del misfatto, per l’appunto. Il grande santuario di Namugongo, 16 km a nord-est di Kampala, il cuore della religiosità ugandese, dove attorno alla capanna di acciaio e pilastri che sorge sulla terra bagnata dal sangue dei Martiri si ritrovano ogni anno, il 3 giugno, centinaia di migliaia di persone. E’ la memoria liturgica di Carlo Lwanga, il capo dei paggi di corte, cattolico, che osò sfidare, nel 1886, il re vizioso, Mwanga I, finendo per perdere la vita e la pelle. Fu arso vivo, insieme ai compagni nella fede che si era messo in testa di proteggere dalle attenzioni morbose del sovrano. Insomma uno che non cedette alla lussuria dello sporcaccione che approfittava della sua autorità per violentare ragazzini. Storia che qui in Uganda non si può neanche ripetere vista l’omofobia imperante, e meno che meno in Occidente se non si vuole finire linciati dai politicamente corretti.
Eppure Francesco è arrivato nel luogo dove venivano uccisi tutti coloro che si macchiavano di reati gravi durante il regno di Buganda. La strada verso Jinja, su cui oggi si stagliano ben due santuari, uno protestante e l’altro cattolico. Sì perché a morire non furono solo i fedeli a Roma, ma anche 23 anglicani che, come i 22 cattolici capeggiati da Lwanga, dissero di “no” al sovrano. Una scelta mica da poco, soprattutto se si tiene in conto che all’epoca non ci andavano giù leggeri in questo angolo incantato di Africa. A narrare la passione dei martiri ugandesi a Francesco, portandolo quasi alle lacrime, è stato proprio un arcivescovo protestante, leader della Church of Uganda, tale Stanley Ntagali, nel Nakiyanja-Namugongo Anglican Shrine, santuario anglicano che Bergoglio ha voluto visitare per primo.
Il racconto, per come ci è stato riportato, è stato raccapricciante, e al Papa non è stato risparmiato nulla dell’eroica e drammatica via crucis di questa manciata di Martiri che avevano già conquistato con la loro storia un altro pontefice. Fu infatti proprio Paolo VI, nel suo primo storico viaggio in Africa, a visitare Namugongo, a qualche anno dalla solenne canonizzazione di Carlo e gli altri, avvenuta, a Roma, in piena stagione conciliare.
Così Francesco ancora una volta si è ritrovato a ricalcare le orme del più amato dei predecessori. Accanto al reverendo ha scoperto il supplizio subito da questi testimoni coraggiosi, ascoltando, commosso e silenzioso, ogni particolare del modo in cui furono catturati, giudicati, torturati e uccisi. Ha pregato in silenzio tra le sculture che con incredibile veridicità restituiscono il nucleo di quell’ecumenismo del sangue che gli è tanto caro. L’amore spassionato e appassionato per Cristo, che trasforma la vita e dona un coraggio inimmaginabile. Ha parlato dei Martiri, della loro forza e dell’eredità che hanno lasciato al popolo ugandese. Ne ha parlato assediato dalle zanzare, nell’anfiteatro dove si è tenuta la messa, riempito da uomini, donne, bambini e anziani arrivati a piedi, nella notte, affondando nel fango rosso, con i vestiti colorati della festa, le acconciature elaborate e l’antica bellezza dei guerrieri. Erano loro a circondare lo specchio d’acqua marrone, dragato da improbabili unità di sicurezza, al centro del quale si ergeva il padiglione adibito ad altare. Distanti eppure vicinissimi a Francesco, nel cuore, i pellegrini ugandesi, molti dei quali con la povertà addosso, hanno anticipato tutta la festa della giornata, cantando e ballando la loro gioia, e accogliendo l’invito a raccogliere l’eredità di Carlo e compagni per rendere più missionaria la propria Chiesa. In un abbraccio di carità e amore, consumato proprio nel nome dei Martiri.
E ne ha parlato ancora Francesco, dei Martiri, quando nel pomeriggio bollente di Kampala, finalmente illuminata dal sole, ha incontrato i giovani ugandesi. Uno spettacolo nello spettacolo. Il Bergoglio che conosciamo, quello che abbiamo visto appena due giorni fa infiammare altri giovani africani, che chiacchiera con 50mila tra ragazzi e ragazze, giovani di tribù ed etnie diverse diventati una sola voce nel rispondere alle domande incessanti del Papa. A Kololo air strip, la striscia di terra che una volta era una pista di atterraggio, le gradinate di quello che oggi è un complesso sportivo, vibravano per l’entusiasmo con cui, come un solo corpo, i giovani seguivano Francesco nel suo parlare.
Lui da bravo parroco li interrogava su come affrontare le difficoltà, quella fatica del vivere che in Uganda può significare nascere sieropositiva e rimanere orfana a 9 anni, come raccontato da Winnie, o venire rapito in seminario, insieme a compagni che non faranno più ritorno, dai guerriglieri dell’Esercito di Resistenza del Signore, le milizie di matrice cristiana che imperversavano nel nord del paese, razziando piccoli a cui far imbracciare un fucile. Destino capitato in sorte ad Emmanuel, sopravvissuto grazie ad una rocambolesca fuga alla fine toccata invece ai suoi compagni.
Il Papa ha ricordato a questi giovani che nonostante tutto il male vissuto o presente, c’è sempre la possibilità di aprire l’orizzonte. Non con la magia, ma attraverso la forza della preghiera, e il coraggio che scorre nelle vene, mischiato al sangue dei martiri. Trasformare l’odio in amore, porre la fiducia nell’onnipotenza di Dio, confidare nella tenerezza della Chiesa, Madre, è quello che ha chiesto il Papa. Invitando ad usare quelle armi che ha mostrato al mondo, in un altro paese africano, con altri ragazzi. Il rosario e la via crucis tascabile. Si può essere felici e lieti, positivi e cristianamente ottimisti, anche se hai 20 anni, non hai potuto studiare e non hai un lavoro, il tuo paese è da anni governato dallo stesso presidente e le cose sembrano non cambiare mai. Si può tutto. Con Cristo e l’amicizia di Francesco.