Tornare a casa, nella tua piccola casa di provincia tutte le sere e dare una carezza a quel figlio unico, atteso con amore come tutti attendono un figlio. Un paese di provincia, un lavoro onesto, una casa piccola ma tenuta con dignità. Un’immagine da cartolina, forse, ma reale, come reali sono le storie sconosciute e che non finiscono mai in prima pagina se non nel momento della tragedia.
La tragedia inevitabile quando la solitudine diventa troppa. Un figlio avuto un po’ tardi, a 37 anni di età, chissà qual è la storia di quest’uomo e di questa donna che comunque si sono voluti bene, lei quando si è sposata con lui di anni ne aveva 33. Il figlio che nasce cambia tutto: è tetraplegico, una malattia dannatamente dolorosa da accettare, per chi ne soffre e per chi è vicino. La paralisi del busto e di tutti gli arti. Una vita immobilizzata nel letto o sulla carrozzella, quando i genitori erano giovani e forti per accompagnarlo. Ma gli anni passano e si invecchia. Da soli. Lui adesso ha 88 anni, sono tanti, tutti passati accanto a quel figlio che invece di anni oggi ne ha 51. Lei, la mamma, 84 ed è ricoverata in ospedale per problemi di età.
Quella mattina la casa sembra abbandonata: la moglie è in ospedale, il figlio come al solito a letto. I conti, se mai sono tornati o li ha sempre sopportati in silenzio nel dolore, non tornano più. A 88 anni quanto mi resta, pensa davanti alla solita tazza di caffè? E se mia moglie non torna più dall’ospedale? La solitudine. Inesorabile e insopportabile.
Si alza, va in camera del figlio, gli toglie il respiratore, gli mette dei cerotti sul naso e sulla bocca e lo lascia morire soffocato.
Poi va in balcone, ha una corda, preparata chissà da quanto tempo. Si impicca. La gente che passa davanti a quella casa silenziosa lo vede penzolare sul balcone. Chi lo dirà adesso alla mamma?
La solitudine arriva per vie misteriose, la cerchiamo o ci cade addosso. Chi conosce la storia di ognuno? Nessuno. E’ nei cuori che si custodisce. Ma nessuno dovrebbe essere così solo da uccidere il figlio. “Ho fatto un gesto folle” lascia scritto, con lucidità e consapevolezza.
Ma la solitudine e la paura di non farcela più sono di tutti, stanno lì in un angolino del nostro cuore dove pensiamo di averle nascoste bene bene dalla nostra presunzione. Come il tappo di una bottiglia, prima o poi quell’angolino del cuore esplode.
Non c’entra vivere in un paesino della sperduta provincia italiana. Può succedere anche a Hollywood, tra le belle ville di Beverly Hills. “Mio marito ha detto semplicemente di no e per questo lo rispetto, è stato l’uomo più coraggioso del mondo”. Robin Williams, davanti alla certezza della malattia che lo stava divorando, ha detto nei giorni scorsi la moglie Susan Schneider in televisione, ha scelto di andarsene per mano sua, il prima possibile. La vedova ha parlato quindici mesi dopo la morte del marito, per la prima volta ha raccontato il dramma che lo aveva colpito. Una malattia subdola che nel giro di pochi mesi lo aveva divorato, la demenza a corpi di Lewy, una malattia di cui è anche difficile accorgersi. Forse avrebbe vissuto ancora tre anni, in condizioni sempre peggiori: non riusciva più a camminare, a parlare, ad andare al bagno. Allora anche lui, come l’anziano in provincia di Mantova, ha preso una corda e si è impiccato. La solitudine. Inesorabile. La vita come una sconfitta. La paura del dolore, la fuga.
Tra la bassa mantovana e Hollywood non c’è alcuna distanza, adesso. Se qualcuno non si piega verso di noi a prenderci per mano, ci restano solo “gesti folli” e banalità come un presunto rispetto per chi prende la scorciatoia. Ma la domanda forse alla fine è una sola: quante volte abbiamo incontrato qualcuno che si era piegato verso di noi per prenderci per mano e non ce ne siamo accorti o non ce ne siamo voluti accorgere? Non erano magari quella moglie che è stata con te per cinquant’anni, quel figlio malato quel qualcuno? Forse gli Oscar e il successo non bastano a riempire la nostra solitudine? Anche tra un film e l’altro c’è stato sicuramente qualcuno che almeno una volta ti ha preso per mano.