Per raccontare la storia di Luigino D’Angelo, sessantottenne pensionato di Civitavecchia che si è tolto la vita dopo aver perso tutti i suoi risparmi nel fallimento della Banca d’Etruria, i particolari non bastano. Come non basta guardare a questo fatto come l’esito di un processo politico, sociale o economico: sarebbe davvero molto parziale e inadeguato vedere in questa storia soltanto i riflessi di una società cinica e ingorda, dimenticando che alla radice della decisione di porre fine alla propria esistenza c’è sempre un dolore immenso, indicibile, forse inenarrabile. 



L’uomo, infatti, sceglie la morte solo quando smette di parlare con la vita, solo quando la vita smette di parlargli. Ciascuno di noi — quotidianamente — investe energie, desideri e risorse per andare bene a scuola, per costruirsi una casa, per fare bene il proprio lavoro, per educare i propri figli, per avere qualche soldo e qualche sicurezza. Ma nessuno di questi motivi è realmente ciò che ci interessa. La nostra libertà si muove nella storia solo cercando un po’ d’amore, solo aspettando — magari inconsapevolmente o magari drammaticamente — che la Vita gli parli e gli dica: “tu vali, tu vivi, tu sei”. Nelle trame nascoste dell’esistenza ciascuno cerca una Voce che gli restituisca senso, dignità e forza. E tutta la tristezza di questo mondo, tutta la depressione che a volte aggredisce e sbrana il nostro cuore, sorge proprio dal silenzio di quella Voce, dall’attesa drammatica che dal Cielo, dall’Altra parte, Qualcuno dica qualcosa. 



Suona nelle radio di questo caldo dicembre una laica preghiera dal titolo emblematico e commovente di “Say something”. Racconta, questa ballata di metà decennio, la storia di un uomo che sta per andarsene, per lasciare tutto ciò che gli è caro e per cui ha lottato. Prima di andarsene, però, il suo cuore diventa un enorme supplica alla donna che ama, alle Stelle, al Cielo: egli implora che Qualcuno — dall’Altra parte — possa dire qualcosa prima che sia troppo tardi, prima che tutto finisca. Tutti noi attendiamo una parola. E quest’aria natalizia, dove ciascuno sembra aver trovato la sua parola, esaspera questa nostra attesa. E, segretamente, ci fa mette con le spalle al muro. Aspettando il miracolo di un “grazie”, di uno “scusa”, di un “ti voglio bene”. Perché a volte ci basterebbe così poco per sentirci degni, voluti, amati. 



Basterebbe un cenno dal Cielo. Quel Cielo che per Luigino è rimasto apparentemente muto permettendo a tutto il suo dolore, a tutta la sua rabbia e a tutta il suo strazio, di travolgerlo e di lasciarlo solo. Con le sue mani, con la sua giustizia. Il Mistero della vita sta proprio qui: nessun uomo, per quanto dotato e fortunato, può abbracciarsi da solo. 

Ciascuno di noi ha bisogno dell’abbraccio di un Altro per vivere e per attraversare tutto. Così, in una notte di fine novembre, Luigino è rimasto solo. Senza che sua moglie bastasse davvero al suo cuore, senza quella dignità che aveva provato a costruirsi nella nobiltà del lavoro e del risparmio. E il freddo ha avuto il sopravvento. Il silenzio ha avuto la meglio. 

Io credo — diceva Möhler — che non potrei più vivere se non Lo sentissi più parlare. Si riferiva a Dio, a Cristo. Luigino quella sera Dio non Lo ha sentito, Lo ha implorato e non Lo ha sentito. E se ne è andato. Lasciandoci il rimorso di non aver fatto abbastanza per lui, lasciandoci il dubbio che questa nostra civiltà così piena di vita alla fine non sia altro che un luminoso sentiero verso la morte. Eppure Dio c’era quella sera. Stava piangendo, stava singhiozzando, colpito ancora una volta dal volto di Suo Figlio tumefatto dal peccato degli uomini. E Dio, quel Dio, non ha potuto fare altro che supplicarlo, che implorarlo, che pregarlo. Ma Luigino non sentiva. Ed è calato il freddo, il gelo di un inverno in cui — ancora una volta — in mezzo all’indifferenza dei potenti e dei sapienti, è andato in onda sul palcoscenico della storia il dolore di un Figlio e lo strazio di un Padre. “Say something” dice la canzone, “dimmi qualcosa” dice il nostro cuore al Cielo. E siamo così ripieni del nostro dolore da non sentire che là, in mezzo a quest’aria di neve, un viandante continua a cercare il nostro cuore. Lo fa nel silenzio, lo fa tra le lacrime. E, adesso, lo fa insieme a Luigino.