Un venerdì di dicembre, piazza Cordusio, ad aspettare il tram sotto un sole pallido e col freddo umido di questa stagione. La gente ha iniziato ad avere la frenesia da regalo, ma qui a dire il vero c’è sempre frenesia (Milano sempre pronta al Natale, cantava Lucio Dalla) e si ha proprio l’immagine del milanese che corre, corre, anche se non è necessario. A un tratto arriva una signora anziana a piedi nudi che cammina in maniera scomposta in mezzo alla gente e chiede la carità. La solita scena per impressionare gli astanti, vien da pensare. E così pensa la gente che si volta dall’altra parte. Ma non faccio in tempo a osservarla che arriva una ragazzina con lo zainetto: avrà vent’anni o poco di più. Tenta di parlare con la signora che nel frattempo si siede su di un muretto di cemento, senza dare risposte. Anzi, si copre il volto col cappuccio di lana. A quel punto la ragazza si toglie gli stivaletti, si sfila le calze e le mette alla signora. Poi si rimette gli stivaletti, fruga nello zainetto e tira fuori 20 euro e un rosario. E glieli porge. Se ne va fra la folla quell’angelo, e mi passa davanti con un volto fiero.



La gente che ha seguito la scena, di spalle, avrà fatto i propri commenti, anzi una signora con la pelliccia scuote la testa come a dire: “Che ingenua, non lo sa che è tutta una sceneggiata ?”. Il mio tram nel frattempo è arrivato e io sono rimasto li come un allocco: avrei potuto dare anch’io 20 euro – ho pensato. Ma nella vita, a volte, non c’è tempo per pensare: o l’azione coincide con la propria morale, adesso, oppure è uno sforzo. Però quella ragazza è come se m’avesse dato un pugno nello stomaco (pieno).



Il giorno dopo sono ad Asti, alla pizzeria Francese (via dei Cappellai, 15 tel. 0141 592321), nome dei due fratelli originari di Tramonti che, come altri 3.000 nel mondo hanno aperto questa attività, nel primo dopoguerra. Mangiamo una pizza alle due del pomeriggio (sempre ottima) e poi io mi allontano per un appuntamento, lasciando Claudia e Silvana in pizzeria a lavorare, al caldo. Quando alle 16 ci ritroviamo, mi raccontano che a un certo punto sono entrati una decina di ragazzi di colore, quelli che sono stati salvati dai barconi della speranza e poi smistati nelle varie città. Il figlio di Beppe Francese li ha messi davanti al forno e gli ha fatto una lezione sull’impasto della pizza. È un progetto condiviso che mira a dare qualcosa di più di una semplice ospitalità. E anche qui, m’è venuta una riflessione spontanea: ma se quella famiglia di pizzaioli avesse pensato ai “se” e ai “ma” e al calcolo, magari con la paura che domani possano aprire una, due, dieci pizzerie in città, che sarebbe successo? Nulla.



Se la ragazza-angelo e i Francese avessero guardato di che religione erano le persone che avevano di fronte (si chiama il prossimo); se avessero perso tempo a chiedere referenze, se, se, se… Il mondo sarebbe rimasto fermo al livello della nostra povera borghesia, che cerca di non farsi scalfire dentro il tran tran. Invece io dico: l’hanno fatto per essi stessi. O forse l’hanno fatto perché chi avevano di fronte era Gesù, bambino indifeso e al freddo, in cerca di un qualcosa o qualcuno che li facesse partecipare alla vita. Il Natale in Italia, guardato con la coda dell’occhio in due giorni di sole pallido di dicembre è anche una cosa del genere. Non posso dimenticarlo. Non dobbiamo dimenticarlo, nonostante tutto concorra a sbiadirci un significato, fra un tartina al salmone e un regalo che ricorderemo per una manciata di ore.

Sul mio libro “Adesso, 366 giorni da vivere con gusto”, trovo una frase di Madre Teresa di Calcutta che forse è la sintesi di quella morale che va ritrovata: “La peggiore malattia oggi è il non sentirsi desiderati né amati, il sentirsi abbandonati. Vi sono molte persone al mondo che muoiono di fame, ma un numero ancora maggiore muore per mancanza d’amore. Ognuno ha bisogno d’amore. Ognuno deve sapere d’essere desiderato. Di essere amato, e di essere importante per Dio”.

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