Il 16 dicembre esce in Italia il nuovo episodio di Star Wars e noi, che già comprammo spade laser rosse e verdi per i nostri figli, lo attendiamo curiosi. Dell’evento si può dire dal punto di vista del contenuto e della forma. Quanto al primo, tutti sanno che il film è un’epica della lotta tra bene e male. Lo ha ribadito anche il suo creatore, George Lucas. Ci sono in giro per il mondo dei tizi che hanno addirittura preso sul serio la religione Jedi e, cosa ancor più sorprendente, ci sono dei giornalisti che hanno preso sul serio questi buontemponi. Del resto il fiorire di culti stravaganti è segno inequivocabile di decadenza. Accadde sul finire dell’impero romano e accade anche oggi nel lungo tramonto della razionalità occidentale. 



Sono state scritte molte pagine sulla presunta filosofia della saga. Da Roland Barthes in poi, mescolare “alto” e basso”  è molto trendy. Per lo più si tira in ballo manicheismo e gnosi e i buoni seguaci dell’ortodossia tomista o più modernamente chestertoniana, si ritirano con ribrezzo. E giustamente, perché in nome della purezza manichea e soprattutto in nome della sapienza degli illuminati, che “sanno” cos’è il bene e il male, nella storia si sono compiuti i crimini più orrendi. Ma forse non è il caso di esagerare. I film subdoli son altri. Inoltre, ammesso che sotto ci sia una filosofia, un po’ di ombre nette sono benvenute. Ai giorni nostri infatti, tramontato l’ultimo messianismo incarnato dal marxismo, il pericolo vero sembra la confusione tra bene e male. Vedremo dunque se il film manterrà la promessa di chiamare il negativo col suo nome. 



Più interessante della discettazione sui contenuti è osservare la forma dell’evento. Guerre stellari è un nuovo esempio di film-episodio. I remake, i sequel e i prequel sono sempre esistiti ad Hollywood. Tuttavia va notata la progressiva convergenza tra lo spettacolo cinematografico e quello televisivo. La fruizione resta e resterà diversa. Per quanto possano aumentare definizione e dimensione degli schermi di casa, il cinema continuerà ad essere un’esperienza unica, a livello sensoriale e per la sua visione collettiva. Ma la struttura del film si avvicina sempre più a quella delle serie tv. Non a caso a dirigere Guerre Stellari è stato chiamato J.J. Abrams, il creatore di Lost. E d’altro canto sempre più spesso si lanciano serie che sono eventi come le uscite dei blockbuster, con budget e cast un tempo propri solo di Hollywood. 



Nel film seriale, come nella serie tv, la storia è sempre aperta. Non finisce, perché deve essere sempre possibile farne un nuovo episodio (a proposito Harrison Ford ha dichiarato che dopo la prima trilogia avrebbe voluto far morire Jan Solo, ma, appunto, Lucas si oppose). Neppure inizia veramente, perché se ne potrebbe ricostruire diversamente l’origine. Anche la fruizione cambia. Netflix ci sta abituando al cosiddetto binge watching, la visione-abbuffata, che consiste nel consumare insieme più episodi, a volte la serie intera, come fosse, appunto, un unico film televisivo, di durata variabile. 

Cosa si perde e cosa si guadagna in questa progressiva destrutturazione del racconto? C’è più libera scelta, perché si vede cosa, come e dove si vuole. Ma si rischia incertezza. Da piccoli sapevamo che alla fine Cappuccetto Rosso ce la fa. E a sentirlo ripetere cento volte non ci si stancava. Oggi non è detto. Nel sequel il lupo potrebbe poi non essere così malvagio. Proprio quello che speriamo non accada al nuovo Dart Fener, che vogliamo inequivocabilmente cattivo.