Bisogna essere grati ai radicali per certe battaglie, portate avanti con determinazione e sprezzo delle conseguenze. Penso soprattutto all’insistenza sulle condizioni dei detenuti, e ai continui richiami all’indulto o all’amnistia, che per i cristiani ha un sinonimo di ben altra pregnanza, che è la misericordia. Ma il loro sguardo all’uomo è assolutamente ideologico: l’esaltazione di una Libertà totale, deificata, in nome della quale tutto è lecito, se lo si desidera. Avere un figlio se non si può, non averlo se non lo si vuole, non averlo se non lo si vuole in un certo modo, farlo avere da altri e comprarlo, o comprare pezzi d’uomo per poterlo generare. 



Anche morire, se lo si ritiene, o si crede di ritenerlo una strada, se la vita non ti piace, se il dolore fisico o psicologico non riesci a reggerlo. Si chiama eutanasia, ma è un inganno: di dolce, la morte assistita in asettiche cliniche svizzere, ha ben poco. E’ invece il trionfo dell’autodeterminazione sì, ma nella solitudine, nella disperazione, nel nulla che ha avvolto la tua vita, e che avvolgerà il dopo vita. Nulla. Tu, le persone che hai amato e ti hanno amato, cancellato, come ferraglia da rottamare, di cui non lasciar traccia. E’ coraggio, il suicidio, o la forma più sottile di vigliaccheria? E chi ci specula, chi accoglie il dramma e lo smarrimento per risolverlo con un’iniezione, perché lo fa? 



Per i soldi, certo. Non solo, purtroppo, cosa che avrebbe almeno una parvenza di cinica logica. Lo fa perché crede fermamente che ogni uomo sia libero di darsi la morte, se lo crede, anzi di pretenderla. Non c’è nulla di ragionevole, in questa hybris antica, perché l’evidenza ci conferma che non ci diamo la vita, e non ce la diamo come vogliamo. Ma tant’è, se non esiste un creatore, e la tua esistenza è in balia del caso, la sfida al caso diventa quasi l’affermazione di sé, il tentativo estremo di dominare l’indomabile. 

Così Marco Cappato, leader storico dei radicali italiani, si  è autodenunciato per aver aiutato una donna italiana a morire in Svizzera, perché malata terminale. È successo il 15 dicembre, pare, ma il riserbo è d’obbligo, per tutelare una vicenda personale. Che i radicali non esitano a mettere in piazza per annunciare l’iniziativa di sostenere economicamente tutti i malati terminali che facciano richiesta della morte assistita, in modo che al più presto si possa ottenere una legge italiana. E’ un atto di disobbedienza civile, dicono. Lo Stato lede il principio della libertà individuale. 



E’ quasi banale rispondere che in nome della mia libertà individuale posso giustificare l’omicidio, ad esempio. Che in suo nome posso decidere di farmi schiavo, o di fingermi una pupattola di 12 anni, come ha detto di sentirsi quel pazzo che ha sbandierato il transage come nuovo vessillo. E’ inutile ricordare che i medici sono tali per curare, e per aiutare a non soffrire. Che il Diritto nasce per rimediare ai mali dell’uomo, per garantire la vita, come primo e universale diritto. Nessuno ha mai pensato di fondare la giurisprudenza sul diritto alla morte. 

Inutile, perché all’ideologia non risponde la ragione. Solo una resistenza antropologica, cui allenare i nostri figli, può rispondere. Solo l’educazione, e la coscienza di chi siamo, di quali desideri profondi abitino in noi, solo la pietà, o la misericordia, meglio, che connota fin dalle origini il nascere delle civiltà. Resistenza ostinata almeno quanto quella dei radicali. Mentre pare che nel vuoto, di idee e ragione e cuore tutto ci scorra addosso, e qualche decina di morti in più in Siria, un presepe di meno, una donna uccisa in una clinica svizzera, non ci riguardino. Sono esempi diversissimi, ma uniti da un filo comune: chi siamo, quali desideri albergano in noi, cosa vogliamo per i giorni che ci sono dati. Guardo a quella donna, sola, in una stanza pulita e ordinata, con i suoi pensieri, con i suoi ricordi. Chissà se ha pensato che in Avvento, da piccola, si facevano l’albero e il presepe,  a casa, e si mangiava il panettone in famiglia dopo la Messa. 

Ieri sera è mancato il papà di amici, care persone. Dolorosa perdita, per un uomo ancor forte, in poco tempo,  con gran sofferenza. Ma, spiegava la figlia, l’abbiamo seguito con immenso amore, giorno dopo giorno. E’ stata dura, ma al tempo stesso un’esperienza importante. Poiché morire è fatale, e questo scandalo bisogna affrontarlo, dai barlumi della coscienza, non solo quando ci tocca da vicino. Quest’uomo è andato incontro con dignità e coraggio alla vita di cui la morte è una parte. Aspettando una rivelazione, aspettando di vedere. Che accadesse, questo compimento di una vita piena. Non era solo.