Non sono certo il solo ad essere rimasto colpito e inquietato dal titolo dell’articolo di Gioia in edicola oggi. Il titolo è: “A 40 anni mi regalo un bambino”. 

Perché… semplicemente perché un bambino non è un regalo, perché i regali sono orologi, cioccolatini, baci, ma non “un bambino”: inquietante associazione, che fa il paio con l’altro inquietante tema del servizio, cioè l’uso della donna “a distanza” o “surrogata”, per portare a termine una gravidanza, dato che decenni di battaglie femminili hanno portato fortunatamente a capire che come un bambino non è un regalo, anche la donna non è un quid da usare (sia pure volontariamente, sia pure a pagamento). 



Ci inquieta anche altro. Cioè che nel testo, a parte la messa in guardia a non fare “figli riparativi” cioè per frustrazione, non c’è la dovuta messa in guardia che qualunque manuale di fisiologia o di ostetricia fa, cioè che fare i figli oltre una certa età è pericoloso. Certo, pensare che il figlio della donna quaranta-e-qualcosa-enne è un regalo che la donna si fa, non aiuta a pensare ai pericoli che corre. D’altra parte è possibile che un regalo ti faccia correre dei rischi? Invece i rischi ci sono; per conoscerli invitiamo a leggere le riviste scientifiche, o i siti delle associazioni mediche ginecologiche. 



La rivista Fertility e Sterility di maggio riporta i rischi ben noti sia per la donna che per il bambino di nascere da una donna quarantenne e oltre, e non sono rischi da poco: prematurità, morte fetale, malformazioni, gemellarità con i rischi che questa comporta, gravidanza ectopica. Gli studiosi autori dell’articolo spiegano che sui mass-media la metà degli articoli che parlano delle gravidanze quarantenni si focalizzano sulle vip; e “eventi negativi, compresa la sterilità e la morte fetale sono raramente menzionati. Il rovescio della medaglia è altrettanto disturbante: che maternità giovani e carriera appaiono  incompatibili; la maternità viene descritta come per forza legata ad assenza dal lavoro, ridotta produttività e ostacolo alla carriera”. Anche la rivista Sexual Reproductivity and Healthcare di giugno, organo dell’associazione delle ostetriche svedesi, mette in guardia dalla banalizzazione che i mass-media fanno delle gravidanze in età avanzata, in un articolo in cui leggiamo: “Le maternità rimandate nel tempo sono descritte positivamente, dato che facilitano il conformismo con le ideologie dominanti a proposito della maternità”. 



Nell’articolo di Gioia, sicuramente scritto con tutti i migliori scopi, leggiamo che “a 40 anni molte donne si sentono ragazze”, o “la percezione della vita fertile come una endless season”; purtroppo (ma direi anche, ovviamente) quello che percepiamo nei nostri sogni non è quello che percepisce il nostro corpo con i suoi ritmi e i suoi ormoni, con le sue ovaie che ad un certo punto devono tirare il fiato e con un orologio biologico che non si resetta a piacere.

La differenza tra quello che sentiamo e quello che siamo talvolta c’è, volenti o nolenti. E i rischi ci sono a non rendersene conto; se non altro il fatto che l’età fa diminuire la fertilità, i figli non vengono a quarant’anni come venivano a venticinque (e comunque non sono una cosa che noi ci regaliamo). 

Interessante è leggere su Io Donna del 19 dicembre un servizio sullo stesso tema, in cui si parla di un libro di Francesca Fornario in cui “l’Italia della maternità negata è un Paese in cui i giovani desiderosi di diventare madri e padri si ritrovano braccati alla stregua di criminali”, in cui a vent’anni i figli non si fanno ancora e a quaranta i figli non vengono più. Lo vediamo tutti, la società occidentale è strutturata come se un decennio fosse messo in naftalina, congelato, freezerato, il decennio tra i venti e i trenta anni, il decennio della massima attività mentale, delle massime energie, quello in cui sarebbe più facile far figli, creare grandi opere, e invece la pubblicità ci invita a rimandare e il mondo del lavoro ci obbliga a rimandare; e non è un bene, non è libera scelta (se non raramente), non è salutare. Anche perché, rimandando, succede un fatto nuovo nella storia del mondo: ogni 100 anni le generazioni non si rinnovano più cinque volte come è sempre stato, ma solo tre, con conseguente alto tasso di sterilità per i singoli e gerontocrazia per la società. E’ l’effetto goccia di miele: la società — da coesa che era — come il miele diventa fluida, si sfilaccia si allunga sotto la forza della gravità, fino a staccarsi e crollare.