«Ammazzateci tutti musulmani e cristiani, oppure lasciateli andare» così hanno gridato ieri un gruppo di kenioti musulmani all’indirizzo dei ragazzi di al-Shabaab, un gruppo affiliato ad Al Qaeda. È successo in Kenia dopo che i passeggeri di un autobus erano stati divisi tra musulmani e cristiani e stava per iniziare l’ennesima mattanza di questi ultimi. Ma, appunto, nell’aria fredda dell’alba non sono riusciti a dividerli: mentre i credenti in Cristo erano sdraiati sul ciglio della strada ad aspettare il proprio turno di proiettile alla tempia, i devoti di Maometto si sono levati in loro difesa. E così, sorprendentemente, i fanatici vicini all’Isis questa volta, prima sono ammutoliti, poi se ne sono andati.
Vedere che una sessantina di passeggeri si tengono assieme e i musulmani gridano e scacciano via i guerriglieri di Allah è un segno di un cambiamento, è veramente un segno di cambiamento. Don Piero Primieri, il parroco di Iriamurai nella diocesi di Embu, spiega che la reazione inattesa dei connazionali musulmani ha messo in fuga i guerriglieri perché sono rimasti basiti e frustrati da tanto coraggio. Forse questi musulmani avevano ascoltato Papa Francesco quando, il 15 gennaio scorso di ritorno dalle Filippine, diceva in aereo che “è aberrante uccidere in nome di Dio”. O forse, semplicemente, anche un musulmano sa che “o tutti o nessuno”: prima della professione in un credo religioso è una bella professione di fede nella vita, di quella vita che viene prima di ogni credo religioso.
Infatti, a ben pensarci, cosa avevano in comune i salvatori con le vittime predestinate? La vita. Stessa patria, stesso pullman, stesso viaggio. Forse stesso luogo di lavoro, stessa guerra, stessa fatica di vivere. Stesso biglietto, stesso diritto di vivere. O tutti o nessuno. Musulmani che non si sentivano “altro” – diversi – rispetto ai cristiani. Bella professione di fede. E non è stata cosa di un istante, perché i testimoni raccontano che fin da subito, di nascosto, i musulmani avevano cercato di scambiarsi i vestiti per mischiarsi e non lasciar riconoscere i cristiani.
“Scambiarsi i vestiti” vuol dire “scambiarsi la pelle”, diventare l’altro. Dare la vita. E i terroristi si sono fermati. Perché è il coraggio, la fede nella vita, che ferma i violenti e i fanatici, non le armi. Qui non c’erano armi eppure i terroristi si sono fermati. Le armi non fermano la violenza, la alimentano. Negli attacchi precedenti, le cronache ne sono piene, un colpo alla tempia non era stato risparmiato a nessuno di quelli messi in ginocchio. Ma stavolta sono rimasti tutti in piedi e si sono uniti. Così, come per quel ragazzino disarmato a Tienanmen, il carro armato si è fermato. È davvero un bel segno di cambiamento. Un gran segno di cambiamento.