Tardo dicembre: tempo in cui i pargoli portano a casa pagelle di fine quadrimestre e raffreddori d’inizio inverno. Sarà per questo che la notizia letta oggi mi colpisce più dura d’un torrone alla mandorla: “Le donne che partoriscono nella terza decade d’età hanno più probabilità di avere figli più intelligenti e sani rispetto alle ventenni e alle quarantenni”. A decretarlo, un recente studio della London School of Economics.
E’ un attimo: in un godurioso momento d’autocompiacimento, mi gongolo all’idea di esser stata concepita da madre trentacinquenne. Ma dura poco: subito dopo mi ricordo che ho scodellato tre figli un pelo al di sotto dei trent’anni. Ormai è andata.
Torno all’articolo. Le ragioni che giocherebbero a favore delle madri di terza-decade rispetto alle più giovani sarebbero: relazioni più stabili, un maggior grado di istruzione, una miglior posizione lavorativa, il raggiungimento di uno stile di vita più sano. Motivata così, sembra più una selezione d’ammissione al Rotary club, piuttosto che al circolo delle madri. La ricerca non risparmia nemmeno le quarantenni che parrebbero invece meno inclini a giocare con i figli, i quali peraltro incorrerebbero in un leggero rischio d’obesità. L’unica correlazione che vedo, sta nel fatto che forse le genitrici più agée son di gran lunga più attratte dalla cucina classica, che non dal piccolo-forno-didò. E io che credevo che una madre più giovane avesse tanta energia, pochi preconcetti e nessun fantasma incombente di crisi di mezz’età…
Di colpo, mi scatta la curiosità. Per soddisfarla mi serve il computer. Devo aspettare: il pc di casa è occupato dai miei figli che — stante le premesse di basso quoziente intellettivo — immagino a questo punto si staranno rimbecillendo davanti a qualche video su Youtube. Paziento. Quando finalmente la mia grande dichiara d’aver finito il powerpoint sull’arte pre-ellenica e mi restituisce l’accesso on-line, mi butto su Wikipedia. Due click e scopro che: una certa Mary Arden ha scodellato il figlio William a 27 anni. Dopo la signora Shakespeare, è la volta di Pauline Koch, che ha avuto Albert a 21 anni. Einstein.
La madre di Steve Jobs lo ha partorito a 23 anni. Qui sopraggiunge mio figlio e mi fa notare che nella mia ricerca non c’è nessun cervellone ancora in vita. Cerchiamo insieme l’età di concepimento di Steven Hawking: 27 anni. “Ma non c’è nessun genio italiano!” annota il ragazzo. “Dante. Prova Dante” incalza. Cribbio. Spero di non deluderlo. La giovane madre del poeta è passata a miglior vita quando il figlio aveva circa cinque anni. Di certo, non hanno avuto troppo tempo per giocare insieme.
E poi dicono che Wikipedia serve a chiarirsi le idee. Sarà…
Chiudo e il browser e mi ritrovo faccia a faccia con la foto che ho sul desktop del computer: mio marito. Il tassello mancante della procreazione! La ricerca non dice nulla sul sesso forte. Come se il quoziente intellettivo non passasse solo per di lì, ma solo per l’anagrafica materna.
Non faccio in tempo a pensare ai risvolti discriminatori, che la figlia più piccola mi richiama oltre lo schermo: “Mamma, dove hai messo Gesù Bambino? E’ ora di aggiungerlo!”. La ragazzina armeggia sotto il muschio del presepe.
“Dietro Maria. Se frughi un attimo, lo trovi”. Lei tasta, sposta, sistema il piccolo accanto alla sua mamma. A me frulla ancora in testa il risultato della ricerca inglese. Fortuna che Maria non ne era al corrente; ha procreato assai giovane, e — a onor del vero — è andata bene così.