Repubblica si indigna e grida allo “scandalo del processo ai giornalisti in Vaticano”. La domanda è come possa papa Francesco “legittimare il buio del diritto medievale” contro i poveri giornalisti Emiliano Fittipaldi (l’Espresso) e Gianluigi Nuzzi le cui inchieste sono state rese possibili dalla sottrazione e divulgazione di documenti riservati da parte di monsignor Lucio Vallejo Balda e Francesca Immacolata Chaouqui; non si capisce proprio, scrive Francesco Merlo, perché soffocare in questo modo, con “un ingranaggio inquisitorio”, i migliori alleati di Bergoglio nel denunciare “una parte quegli affari sporchi che lui combatte”. Cesare Mirabelli, esperto di diritto ecclesiastico e costituzionalista, è più cauto.



Professore, Nuzzi e Fittipaldi sono davvero vittime di un processo che si celebra fuori dallo stato di diritto o comunque estraneo alle garanzie fondamentali?
Seguiamo le udienze pubbliche ed aspettiamo l’esito del giudizio. Per il resto, siamo di fronte a un processo penale dinanzi a un giudice indipendente per fatti che sono considerati dalla legge di quello stato come reati. Sorprende che qualcuno si sorprenda. 



I giornalisti, ma anche gli altri imputati, contestano il ruolo degli avvocati di fiducia: perché non possono difendere i diretti interessati?
In qualsiasi paese gli avvocati che possono difendere gli imputati sono quelli che sono iscritti negli albi professionali dell’ordinamento. Gli avvocati d’ufficio sono stati nominati in assenza della nomina degli avvocati di fiducia. In questo caso sono avvocati rotali, cioè avvocati davanti ai giudici ecclesiastici o avvocati ammessi dal tribunale. Naturalmente, in linea teorica più è ampia questa possibilità, meglio è per quello stesso ordinamento. Ma la difesa tecnica è assicurata. 



E’ vero che Nuzzi e Fittipaldi sono processati contro gli articoli 21 e 51 della nostra Costituzione — che tutelano rispettivamente la libertà di stampa e il giornalista che esercita il diritto di cronaca —, e dunque ingiustamente?
Innanzitutto la nostra Costituzione non può essere invocata in un ordinamento diverso, e tuttavia il diritto fondamentale a manifestare il pensiero è pienamente garantito anche nell’ordinamento del Vaticano. Poi, anche nel nostro ordinamento ci sono reati che non sono coperti dal diritto di manifestare il proprio pensiero o la propria opinione; come nel caso in cui si tratti di dichiarazioni calunniose del tutto infondate o di sottrazione o pubblicazione di documenti sottoposti in ipotesi a vincolo di riservatezza. 

Come sembra sia avvenuto proprio nel caso dei documenti passati da monsignor Balda e dalla Chaouqui a Fittipaldi e Nuzzi.
Questo non posso dire, perché dovrei conoscere gli atti. Ripeto, si tratta di attendere il giudizio del tribunale.

Ma la libertà di stampa così non va a farsi benedire?
Anche in Italia se partecipo ad un’azione delittuosa per procurarmi documenti o li sottraggo illecitamente, sono punito perché ho sottratto illecitamente quei documenti, non perché ho esercitato la libertà di stampa.

Cosa dice della normativa penale sulla base della quale i quattro sono imputati?

Non è che si può giudicare se le norme penali siano opportune o inopportune; è il legislatore di ciascun ordinamento ad avere il diritto di considerare i fatti che possono essere lesivi di un bene che merita tutela, privato o pubblico, e a sanzionarli di conseguenza.

Cosa significa?
Che dobbiamo abituarci a considerare lo stato della Città del Vaticano un ordinamento territoriale diverso da quello italiano. Non per questo meno garantista dal punto di vista processuale.

Siamo nello stato del papa. Il giudice è libero o no di accertare la verità? La sua nomina non avviene da parte di chi governa, in ultima istanza il papa stesso?
Il papa è anche a capo di uno stato, destinato ad assicurarne la visibile indipendenza e regolato dal diritto? Sì. Non c’è un principio di separazione dei poteri? C’è una sovranità imputabile a un soggetto il quale però non la esercita direttamente, ma la attribuisce, secondo la legge di quell’ordinamento. E in tale ordinamento sono attuate la precostituzione del giudice, la garanzia della sua naturalità, la libertà del collegio giudicante di formarsi una convinzione sulla base delle prove, in un dibattimento pubblico e nel contraddittorio tra accusa e difesa e di adottare una sentenza, cioè una decisione che sarà motivata e può essere appellata. 

Dunque tutte le caratteristiche del giusto processo sono rispettate. 
Sì. Le quali, forse conviene dirlo, non sono ovunque identiche. Nell’ordinamento di tipo anglosassone, l’appello è simbolicamente una concessione del re o della regina e può non essere ammesso; negli Stati Uniti per i reati più gravi, la decisione spetta a una giuria popolare che giudica dichiarando l’imputato colpevole o non colpevole ma non motiva.

Francesca Chaouqui si è dichiarata rifugiata politica.
E’ una sua opinione e non capisco che cosa significhi. C’è un reato, la sottrazione di documenti, ancor più grave se commesso da parte di chi ne era a conoscenza in ragione del suo ufficio. Il materiale non è stato trafugato da uno scassinatore, è stato diffuso violando un dovere di riservatezza per un uso che apparirebbe essere commerciale. Questo è politico?

Il reato sulla base del quale sono processati gli imputati è stato previsto dalla riforma voluta da papa Francesco dopo Vatileaks 1. 
Il principio di garanzia è quello di stretta legalità: nessuno può essere punito per un fatto che non era previsto come reato nel momento in cui è stato commesso, e nel processo viene rispettato.

Nuzzi e Fittipaldi possono andare a processo in Vaticano per un supposto reato che non si sa bene dove sia stato commesso?
Anche il nostro codice prevede reati commessi all’estero per i quali c’è una competenza e una sanzione da parte dello stato italiano. Per l’ordinamento vaticano ricordo che in un caso recente, non concluso perché è intervenuta la morte dell’imputato, è stato avviato un procedimento penale con restrizione della libertà personale per fatti che sarebbero stati commessi in Nicaragua (Jozef Wesolowski, ndr).

Qualcuno ha ipotizzato per i giornalisti il reato di ricettazione. Che ne pensa?

Se c’è consapevolezza della provenienza da reato dei beni che si ricevono traendone un profitto, può configurarsi questo reato; la  ricettazione in ipotesi sarebbe avvenuta in Italia. Nel nostro caso, le norme in base alle quali si procede riguardano dei reati speciali, disciplinati da una legge speciale, quella cui faceva riferimento lei poco fa, voluta dal papa.

Francesco Merlo su Repubblica ha puntato il dito contro un “ingranaggio inquisitorio”, quello Vaticano, alla base del quale ci sarebbe il codice Zanardelli del 1889.
Autorevoli penalisti hanno più volte richiamato la maggiore apertura del codice Zanardelli rispetto al codice Rocco, perché ispirato a principi più liberali e non  autoritari come nel secondo. 

Perché secondo lei si assiste a questa indignazione generale, di cui sarebbe vittima la libertà di stampa?
I motivi possono essere molti e diversi, ma non vorrei che si confondano le inchieste giornalistiche, da apprezzare se offrono una genuina e libera informazione all’opinione pubblica, con il trafugamento di documenti. Vedo molta superficialità e sensazionalismo, mentre mi sembra che manchi la pazienza di seguire il processo, che è pubblico, ed attendere l’accertamento dei fatti e delle responsabilità.

(Federico Ferraù)