Anche quest’anno, l’anno del Bataclan, di Charlie Hebdo, della Siria, dell’Isis e di quant’altro, il 31 dicembre la Chiesa canterà l’inno di ringraziamento del Te Deum. Siamo “esseri graziati” e dobbiamo essere grati. Graziati dall’amore, graziati dalla bellezza, graziati da Dio che ci salva con l’amore. Siamo graziati da tutto l’amore che incontriamo nella vita. Dal buongiorno del portiere all’amore di tutta una vita portato all’altare o partorito o incontrato in un amico sincero. Siamo degli esseri nati, creati, concepiti per amore, da un atto di amore, dall’unione d’amore di due persone. Solo per questo dovremmo ringraziare ogni giorno. E farlo cantando. Ecco perché nascono gli inni: perché si può salutare con la faccia triste, si può dire un “buongiorno” a denti stretti, ma ringraziare no. Quando ringraziamo qualcuno, la bocca si apre in un sorriso dolce, gli occhi si allungano, e vengono quelle rughe che nessuna crema potrà mai togliere: le rughe del sorriso. La mano si apre, il braccio si allunga e tutto il corpo va in avanti a dire grazie in coro, con la voce. Ci si stringe la mano e ci si commuove sempre anche senza lacrime, quando si dice grazie. Dire grazie è affidarsi di nuovo. Dire grazie è donarsi di nuovo. Nei nostri smartphone c’è un emoticon per ogni emozione ma per dire grazie si può solo scrivere grazie. Per poter ringraziare ci vuole un dolore e qualcuno che ce lo tolga, come faceva la mamma con un bacio sulla bua; per poter ringraziare bisogna sapere di aver bisogno di pace e di perdono e sapere che c’è qualcuno per noi: per la nostra pace, cioè per donarcela, e per le nostre colpe, cioè per dimenticarle insieme a noi. Grazie è gratis.



Cioè non te lo può insegnare nessuno a dire grazie. Le mamme ci hanno insegnato la parola da piccoli, ogni volta che ricevevamo una caramella o un regalino; ma imparare a dire grazie per qualcosa che riceviamo da grandi, senza meritarlo, a volte senza neanche vederlo materialmente, non è facile. Per riuscirci è necessario uno sguardo nuovo, su di noi e su di Lui e su chi abbiamo intorno. A ringraziare si impara chiedendo la grazia. Così impareremo e la troveremo guardandoci attorno e vedendo il nonno felice di essere tra i suoi nipoti finalmente a tavola il 24 dicembre. I figli tutti riuniti, con le mogli, con i mariti. I piccoli e i grandi tutti svegli, tutti insieme. Se non vedo nell’altro una grazia, non c’è insegnamento che servirà.

Cosa mi dice il Te Deum? Mi dice questo. C’è un cielo che canta, un Dio che è amore, che soccorre, che nasce, che sta tra noi, con noi, che guida, benedice e sorregge, che ci custodisce, che è pieno di misericordia e io, che sono misero, sento che questa tavolata che ho appena lasciato in questi giorni di festa è come una Messa, dove tutti sono intorno a qualcuno che è venuto per amare e siamo tutti indegni e siamo tutti degni. Ci sono pure gli angeli che cantano, sono i bambini con la loro poesia imparata a memoria. Sì, c’è da dire Grazie.

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