È successo sabato sera a Londra nella stazione della metropolitana Leytonstone, nella zona est della città, prima che la polizia neutralizzasse uno sconosciuto con una pistola taser e lo arrestasse. Scotland Yard parla di terrorismo e, comunque, un uomo di 56 anni è stato ferito in modo grave con un coltello e altri due hanno riportato ferite lievi. 



Il giovane aggressore, che dalle immagini pare essere un ragazzo di colore sui venti-trent’anni ha dato ieri il suo contributo al terrorismo — e al nostro terrore di matrice occidentale — urlando la frase “ecco cosa succede quando fai lo stronzo con madre Siria, tutto il tuo sangue verrà versato”. Questo è quello che raccontano i grandi media. Stampa e televisioni parlano di sangue e paura e così il terrorismo è subito on line. 



Ma per lo stesso episodio sui social è andato on-line anche qualcos’altro, e di questo vorrei parlare perché mi sembra aggiunga un di più. È una frase, detta da uno sconosciuto, urlata contro il terrorista: “Tu non sei musulmano, fratello”. Sono le parole che hanno conquistato twitter. È nei filmati girati con i telefonini cellulari e diffusi in rete. Si sente chiaramente la voce di un testimone che, in un buon inglese, accusa l’uomo di non comportarsi da musulmano. Nelle ore successive all’attentato l’hashtag #YouAintNoMuslimBruv è diventato il più frequentato dagli utenti britannici di Twitter.



Lì dentro, mi sono detto mentre leggevo, c’è qualcosa di buono, qualcosa che fa risalire in superficie la speranza. Parlo apposta di “risalire in superficie” perché tempo fa vidi un documentario in cui si parlava di sopravvissuti da sciagure marine, affondamenti di nave, capovolgimenti di surfisti a causa di onde oceaniche. Si diceva che quando ti arriva addosso un muro di acqua e vai sott’acqua tra mille mulinelli non devi nuotare perché potresti sbagliare la meta. Potresti essere disorientato e ritrovarti a nuotare verso il fondo. Bisogna, invece, guardare le bolle d’aria. L’aria è leggera e va sempre verso la superficie.

Così, aver gettato quella frase addosso al terrorista è un’arma più potente di ogni pistola paralizzante e di ogni pacco bomba.

C’è bisogno di chiudere alcune fermate della metro, c’è bisogno dei soldati ad ogni fermata, c’è bisogno di armarsi e di difendersi? Sì, non c’è dubbio. Ma quello che cambierà la Storia sarà quello che cambierà la nostra storia personale, quello che cambierà dentro di noi. Non tutti andremo in giro armati come soldati ma tutti possiamo andare armati di una coscienza netta, coraggiosa, pronta ad urlare ciò che ci  distingue da ogni atto di sangue perpetrato nel nome di Dio o di chiunque. “Tu non sei musulmano, fratello”.

Chiamare “fratello” l’aggressore, pubblicamente, durante un attentato, con la vittima a terra, è da coraggiosi, è da persone che non temono la verità: non nel mio nome, non nel nome di Dio.

E i social, che spesso ormai raccolgono il nostro vivere quotidiano meglio dei grandi media,  perché sono i pensieri di quella società che non arriverà mai alle prime pagine dei giornali, riprendono questa frase. I giornali aprono le prime pagine della sera con il sangue.

Noi apriamo i primi tweet della sera con questa piccola frase.

Quando migliaia di metri cubi di acqua ti shakerano nell’oceano, tu guarda una piccola bolla d’aria. Dove va lei c’è la salvezza.

Mi colpì questa cosa e oggi quando ho letto questa notizia e visto le immagini che la raccontavano e i tweet che giravano, ho pensato a quella bolla d’aria che va verso la superficie e che bisogna guardarla e seguirla per non andare a fondo. “Tu non sei mussulmano, fratello”. #YouAintNoMuslimBruv

Siamo fratelli dei nostri assassini, se non per fede, per umanità. 

Dovremmo “spararci” addosso solo parole così: bolle di speranza dietro le quali nuotare per respirare, per vivere di nuovo.