Massì, Sanremo è Sanremo. Non una città, tanto meno un santo, ma un non-luogo, che diventa il polo d’attrazione, da anni, in grado di far scomparire i vertici drammatici sulla situazione ucraina, il terrore dei massacri mediorientali, i battibecchi della politica. Un carrozzone, che tutto raccoglie e tutto mette in piazza, e tutto divora, consuma e dimentica. 



Tutto sullo stesso piano. Per questo nella prima giornata della 65esima edizione ci sono i sempiterni Albano e Romina, a rinverdire il sogno spezzato del loro amore eterno, e insieme il rap, lo sberleffo partenopeo debole di Siani che fa impennare Salvini. Per questo c’è la famiglia Anania, con i suoi 16 figli! In teoria, con quei buoni propositi che scaldano il cuoricino, per attirare l’attenzione sulle famiglie numerose, e sul coraggio di far famiglia, pure in tempo di crisi. Peccato che le famiglie numerose debbano supplicare per avere sgravi fiscali al loro terzo, quarto figlio, e affidarsi alla beneficenza per i successivi. Peccato che delle famiglie gliene importi poco, alla politica, alla società, alla cultura: è in arrivo la legge sulle coppie di fatto, qualche sindaco apre registri di convivenza per coppie omosex, qualcun altro mostra le vere intenzioni, e celebra matrimoni. Tante nuove famiglie, sulla carta, e pazienza per quelle vere, si arrangino, è una loro scelta. 



Per questo dopo la famiglia Anania domani canterà sotto i riflettori del paese intero la pluripremiata Conchita Wurst, sì, quel ragazzo affascinante con barba e baffi che però si veste da donna e mostra attributi da donna. Qualunque pensiero alla donna barbuta dei circhi di strada di buona memoria è irriverente e malizioso. Conchita è un’artista, e gli artisti hanno sempre licenza, si sa, che si tratti di Madonna o Beppe Grillo. Conchita è di più: un modello, per chi crede che il genere sessuale sia una scelta, non un dato di natura, che ostentare questa scelta sia segno di libertà e progresso.



Non importa che l’Italia sembri appagata dal reflusso democristiano. Bisogna adeguarsi, anche la Rai che è tv di Stato (solo la parola mette a disagio) rincorre giustamente il sensazionale, lo scoop, i nomi che tirano. Poi, ricordandosi che la media degli ascoltatori è over 60 e temendo lo sdegno di qualche nonnina vecchio stampo, ecco la vetrina per la famiglia Anania. Sono pure cattolici, per forza, sono fissati, esagerati, sappiamo che il pubblico dirà o penserà così. Che si richiamerà a papa Francesco, che stigmatizzava il far figli come conigli, quando non li si può mantenere. Anche se la famiglia Anania i figli se li mantiene eccome, e si dichiara serena, e i ragazzi e bambini si mostrano tali, anche se non tutti hanno l’iPhone e i vestiti se li passano da maggiore a minore. 

Esagerati, altro che Conchita. Oltretutto la trans dalla voce melodica è ricca, questi sono contenti pure se sono poveri, e questo proprio non è accettabile. Mi domando se la famiglia Anania ha capito il gioco al confronto, è cosciente di essere salita sul carrozzone, accanto alla donna barbuta. Forse non era il caso, di suscitare sorrisi, e qualche raro gridolino di ammirazione e commiserazione. Spero che il papà, che fa l’inserviente alle Bellearti di Catanzaro, si sia almeno fatto pagare, che ci sia andato per quello, a Sanremo. Non so se la sua testimonianza appassionata, il suo riferirsi al Signore, appellarsi e affidarsi insistentemente al Signore, possono essere capiti. Non voglio giudicare la sicura buona fede, la semplice spontaneità di chi vive le cose, ma proprio per questo non deve sbandierarle, ripeterle, sottoporsi al sospetto di essere esagerato. 

Carlo Conti è stato bravissimo, sobrio, rispettoso, parco di commenti e domande. Sembrava cercare nell’immediatezza dei ragazzi, dei bambini, quell’essenziale che il padre non è riuscito a trasmettere, secondo me. Che non consiste nell’avere sedici figli, ma nella fede grande che dà significato e speranza e permette di dire “siamo una famiglia normale”. Ma forse c’era poco tempo. Forse non era il luogo. Poi rifletto che a cercare luoghi adatti, i cristiani si sono lasciati chiudere nelle sacrestie, in modo da non essere notati troppo. Serve però fare il contraltare alla drag queen? E’ utile, o attira l’attenzione su quelli che a torto, ma comunque sono considerati fenomeni? Ci sono famiglie numerose in Italia che fanno fatica, e hanno quattro, cinque, sei figli. Il festival ha fatto pensare anche a loro?

Che poi, a noi bastavano delle belle canzoni. Con Emma in anfibi, che sta meglio, con Rocio a sfilare, senza dire parola, e Arisa a cantare, e nient’altro, per carità. Con Tiziano Ferro, che è una gran presenza, e Nek che si ricorda del rock. Ma soprattutto Al Bano e Romina. Spiace ammetterlo, per noi che quando loro cantavano insieme non volevamo morire democristiani e invece ci tocca dire che sbagliavamo, in tutti i due i casi: le voci più belle, incomparabile presenza sul palco, quel sapore di Italia perduta che canta “Felicità è un bicchiere di vino con un panino”. Ah, nostalgia canaglia.