Oggi sono dieci anni dalla scomparsa di don Luigi Giussani, fondatore di Comunione e liberazione. “Il tempo che passa — ha scritto recentemente di lui don Julián Carrón, attuale presidente di Cl — le circostanze storiche che ci troviamo ad affrontare, la nostra disponibilità a lasciarci ‘guidare’ da don Giussani, lo rendono sempre più autorevole ai nostri occhi”. Un carisma, quello di Giussani, che ha “contagiato” in varia misura migliaia di persone in tutto il mondo, battezzati e non credenti, perfino fedeli di altre religioni. “Ci spiazzò fin dagli anni 60, con il suo approccio totalizzante alla fede… divideva la Chiesa, era comprensibile: recuperare il carisma originale fa sempre male…”. A dirlo non è un credente ma un ateo, sia pure in ricerca, come definisce se stesso Fausto Bertinotti, uomo-simbolo della sinistra italiana, sindacalista, già leader di Rifondazione comunista ed ex presidente della Camera dei deputati.



Bertinotti, chi è per lei don Giussani?
Risposta difficilissima, come tutte quelle che riguardano una personalità così rilevante… Un uomo di fede; questa è la prima cosa che direi di lui. 

Quando cominciò a sentirne parlare?
Più di mezzo secolo fa, credo tra la fine degli anni 50 e l’inizio degli anni 60, quando mi occupavo dei movimenti giovanili. Ci imbattemmo in una formazione ignota fino ad allora, si chiamava Gioventù studentesca ed era guidata da un certo don Giussani.



Che cosa ricorda di particolare?
La mia generazione era abituata al dialogo con esperienze come quella delle Acli, con i giovani dell’Azione cattolica, e anche con altri gruppi… ma la venuta alla luce di Gs (che sarebbe poi divenuta Comunione e liberazione, ndr) fu un fatto nuovo, una presenza che all’inizio non era facile per noi da decifrare, perché aveva in sé una componente sociale molto rilevante e però anche un’impronta religiosa così marcata da essere in realtà quest’ultimo il tratto assolutamente prevalente, anche nell’ambiente scolastico…

Continui.
Si trattava di una presenza… (Bertinotti ci pensa a lungo) …mi verrebbe da dire combattiva, ma è un termine sbagliato e lo ritiro… ecco: una presenza segnata da un impegno totalizzante.



Che cosa significa per lei?
Gli altri gruppi erano anch’essi composti da credenti nei quali la vita di fede, la certezza religiosa, erano ben presenti nella pratica, ma come una sorta di premessa all’agire sociale. Mentre nei giovani di don Giussani la fede e la vita erano un tutt’uno. 

Cl è figlia di don Giussani. Quel dna totalizzante lo si può attribuire a quell’esperienza anche oggi?

Vede, io faccio fatica oggi a ritrovare sulla scena sociale, politica e culturale forti elementi di continuità in tutte le grandi esperienze nate nel secolo scorso. E’ come se fossimo precipitati in un altro mondo, e quello che si è spezzato è il filo della continuità. Si è spezzato per i comunisti, ma anche per i cristiani. C’è innanzitutto una ragione esterna: è cambiata la scena, siamo entrati in una altro capitolo della storia, quello del capitalismo finanziario globalizzato. E’ un paradigma regressivo. Mi pare che siamo dentro una profonda crisi di civiltà.

E poi? 
…difficile quindi riposizionarsi, per culture che sono cresciute nel vecchio contesto. Ma il secondo elemento è una mutazione intervenuta nei protagonisti. Direi così: il problema è il rapporto con il potere. Meglio, il rapporto tra la pratica sociale, o politica o culturale e la fede che ne sta all’origine. Intendo sia fede trascendente sia fede laica, storicamente determinata dal secolo, quella fede che ci mette in relazione con ciò che attendiamo e non è visibile, ivi compresa una società diversa.

E qual è la sua diagnosi?
Queste pratiche originate dalla fede, secondo me, al confronto con il potere non hanno retto la prova. Tutte.

Ma il carisma di don Giussani, per come lei ha avuto modo di conoscerlo, riesce a far fronte a questo cambiamento?
Per me è difficile dirlo… C’è una risposta alla sua domanda che non può che essere interna alla tradizione di cui Giussani porta il segno. Dico “tradizione” perché secondo me don Giussani ha prodotto una tradizione, che a sua volta sta dentro la tradizione del cristianesimo. Ma dall’esterno, posso dire che l’esperienza totalizzante di Giussani è attraente, perché manifesta l’intelligenza e la volontà di sottrarsi all’omologazione del tempo. 

Si spieghi, presidente.
Oggi il capitalismo ha foggiato un uomo a sua immagine, e gli ha dato una sua umanità, che è quella dell’individualismo mercantilista. Come diceva Benjamin, si è configurato come una religione… E’ l’omologazione dalla quale metteva in guardia Pasolini. Ecco allora che in quella tensione, anche drammatica, che è propria di ogni proposta totalizzante, starei per dire integralista, c’è anche l’antidoto alla riduzione operata dal nostro tempo.

E la proposta di Giussani può ancora scardinare l’omologazione del potere?
Secondo me almeno indica questa possibilità e questa prospettiva. D’altra parte è questo che mi interessa di lui. C’è un… sì, un integralismo, in Giussani, che è tipico del pensiero forte. Sono rischi che il pensiero debole non corre, ma il pensiero debole si condanna alla disumanizzazione che è inscritta nella società del nostro tempo… Anche il pensiero forte ha dei rischi, ma in ogni caso va “scalato”, ecco. E’ questo che della lezione di Giussani continua a intrigarmi.

Lei lo definisce “integralista”, ma per Giussani non può esserci adesione alla verità senza libertà, senza affetto, senza stupore. 

Certo. In questo è assolutamente moderno.

Lei porta avanti da tempo una sua forte ricerca religiosa personale. Perché ancor più del cattolicesimo in quanto tale le interessa un’esperienza come quella di don Giussani? 
Di don Giussani come di altre figure di fedeli: il cardinale Pellegrino, per altre ragioni il cardinal Martini, padre Balducci… sono tutte presenze molto diverse. E’ un ventaglio che può apparire acrobatico dal vostro punto di vista, lo capisco, ma quello che mi interessa è la testimonianza dell’uomo di fede, il rapporto tra il nostro tempo e la fede con cui si attraversa il secolo.

Lei cita spesso san Paolo…
E’ vero; “Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede” (2 Tm 4, 7, ndr). In questo trittico c’è quello che mi interessa e mi coinvolge nell’esperienza dell’uomo di fede, anche di don Giussani.

Don Giussani ha fatto un riferimento costante alla parola “cuore”. Lei come lo intende?
Sorprende l’uso del termine, ma non la questione sollevata, perché il tema dell’amore, per come io lo leggo, è il tema del cristianesimo. Giussani ha recuperato un termine tradito dalla commercializzazione e lo ha riproposto nel suo carattere scandaloso, quello di riferirsi a un’esigenza di bene e di giustizia assolute.

Da non credente, una personalità come quella di Francesco le sembra estranea al carisma di Giussani?
Estranea non si può mai dire per una figura che appartiene alla stessa fede di un’altra, ma io vedo in papa Francesco soprattutto l’elemento della discontinuità, della rottura con il mondo passato; ovviamente anche suggerita e provocata dall’atto di rottura del pontefice che lo ha preceduto.

Anche per quanto riguarda il riferimento al cuore? Francesco ne parla ogni momento…
Credo che operata la discontinuità, ritorni il problema di fare i conti con ciò si trova nella tradizione. Da chi, quanto e come vengono presi gli elementi di quella tradizione e ri-attualizzati in un altro corpo, questo è un problema che andrebbe indagato. Poi bisogna anche capire, della tradizione, che cosa prendi, o che cosa sei capace di prendere. Questo credo che don Giussani lo sapesse bene.

Saprà anche lei, non solo dalla biografia di Giussani, che il fondatore di Cl ha fatto grattare molte teste nell’establishment ecclesiastico.
Lo capisco e lo ricordo bene. Vale anche per un’istituzione temporale e insieme trascendente come la Chiesa la regola generale di tutte istituzioni: qualunque elemento di scandalo o di trasgressione all’ordinamento viene ricordato come una minaccia…

Don Giussani però non ha mai scardinato nulla.
Scardinato no, ma “affacciarsi sul nulla” è una condizione necessaria per poter integrare il futuro… Naturalmente tutto sta nell'”affacciarsi”, appunto, nel vedere il dato con occhi nuovi senza precipitare. Recuperare il carisma originale fa sempre male… Del resto è anche quello che sta facendo questo papa, mi pare.

(Federico Ferraù)