Ci sono notizie di fronte alle quali non si può restare indifferenti, come quella della tredicenne di Torino violentata per mesi dal branco senza avere il coraggio di raccontare a nessuno, e soprattutto ai propri genitori, il dolore immenso, la vergogna e la ferita che la stavano lacerando, finché il branco stesso che l’aveva irretita ha recapitato una foto alla madre, facendo scattare le indagini.



Il tutto è accaduto nella periferia di una grande città, ma il problema non è il luogo perché lei e i ragazzini che l’hanno violentata (alcuni così giovani da non essere nemmeno imputabili) appartengono alla stessa generazione delle baby squillo dei Parioli e a quelle centinaia (forse migliaia) di ragazzine che si filmano e fotografano nude per vendere, anche nei corridoi delle scuole, la propria immagine o nei casi peggiori se stesse al miglior offerente.



Raggelano le dichiarazioni di altri studenti che, intervistati, rivelano che tutti sapevano, ma nessuno immaginava che la stessero ricattando perché “sembrava una cosa normale”.

Ora: come può essere normale che una ragazzina di tredici anni si chiuda con un intero gruppo di propri coetanei a fare sesso in un garage? Come può apparire ai suoi coetanei una “cosa normale”? Com’è possibile che in sette mesi a nessuno, dentro e fuori dal branco, sia venuto uno scrupolo di coscienza, sia venuto in mente di confrontarsi con qualcuno di più grande raccontando cosa stava accadendo, cercando e chiedendo un giudizio su quello che i compagni si ritrovavano a fare sistematicamente dentro quel garage?



I fatti di Torino devono interrogare innanzitutto noi adulti (e specialmente noi insegnanti, che viviamo una parte consistente delle nostre giornate nel mondo di questi ragazzini, inculcati di sesso e prepotenza fin da bambini), perché se nessuno di noi riesce a creare un’attrattiva così emozionante e convincente in giovani che null’altro desiderano se non essere amati e accompagnati nell’avventura della vita, vuol dire che ai loro occhi le nostre vite sono insignificanti a tal punto da non avere nessuna possibilità di incidere sulle loro che invece chiedono, urlano, gridano che gli vengano offerte delle regole, un argine in cui poter scorrere sereni e lieti, per prendere quella velocità necessaria per sbocciare, a tempo debito, nel gran mare della vita e diventare uomini.

In questa vicenda la vittima è senza dubbio la ragazzina stuprata e devastata da mesi di violenze e con lei la sua famiglia che, senza aver colpa, convivrà per sempre con il rimorso di non aver capito e di non aver impedito o arginato il male che li ha travolti, ma (leali fino in fondo) dobbiamo domandarci: dei carnefici e delle loro famiglie che cosa ne sarà? Quale futuro desideriamo per loro e per ciascuno dei nostri ragazzi? 

L’unica vera possibilità che ogni uomo ha per maturare è riconoscere una vera “autorità”, cioè qualcuno da cui sia possibile lasciarsi guidare. I più giovani chiedono agli adulti questo impegno e quando qualcuno di noi accetta la sfida entrambe le vite rifioriscono, sia quella di chi consegna la propria perché venga accompagnata e sostenuta sia quella di chi accoglie tale dono e inizia l’avventura, comunicando con la propria vita ciò che lui stesso ha ricevuto da altri.