Expo2015 si avvicina. E qualche giorno fa, nella giornata di lavori svoltasi a Milano, è stato chiaro che questo appuntamento sarà un’occasione di apertura mentale. Tra le tematiche affrontate, l’interrogativo se abbia senso o meno parlare di tradizione gastronomica. A prima vista, rispetto a temi come fame del mondo, economia e spreco, potrebbe sembrare di poco conto. Non lo è. Perché se la riflessione muove da fatti apparentemente insignificanti, ossia se la pasta all’amatriciana possa cucinarsi con l’aglio o il pesto con il burro, per stare alle provocazioni lanciate da chef famosi come Carlo Cracco e Davide Oldani, il Bartali e il Coppi della cucina italiana. 



La discussione porta a riflettere sul valore o meno di quello che chi ci ha preceduto ha codificato come identitario. E come ciò che ci è stato dato possa non essere zavorra, ma patrimonio per crescere. Un piatto tradizionale, pertanto, è via per ragionare sulla famiglia, sul suo ruolo oggi, sulla trama di relazioni che si sviluppa attorno a una cucina e alla tavola, sulla società di ieri e di oggi. Non bazzecole, quisquilie, pinzellacchere, quindi, per dirla con Totò. 



Tra le realtà che tra le prime hanno raccolto la sfida “tradizione sì, tradizione no”, il Club di Papillon. Infuocato il dibattito sviluppatosi attraverso gli interventi pubblicati sul sito www.ilgolosario.it La sintesi? La tradizione esiste, eccome! Dimenticare il passato, che si tratti di risotto alla milanese, ribollita, o finanziera, piuttosto che di fatti storici accaduti, è sempre sbagliato. È prepararsi a ripetere gli errori fatti dalle generazioni precedenti. Per quanto attiene al gusto, che le ricette possano essere diverse e realizzate secondo fantasia è giusto. 

Ma che il presente anche in cucina non sia figlio del nulla è altrettanto vero. Purtroppo non c’è dubbio che oggi si impari a cucinare guardando MasterChef e non la nonna e la mamma, che spesso non ci sono proprio. Significative in questo senso alcuna iniziative nate sulla scorta di questa discussione (a dire peraltro di quanto Expo2015 potrà essere importante). È il caso delle Cene in compagnia, spettacolo di condivisione, che ha visto in tutta Italia svolgersi decine di serate per aiutare Gianni Rigoni Stern nella sua iniziativa, la Transumanza della Pace, progetto nato nel 2010, per ridare la dignità del lavoro a quel popolo delle montagne intorno a Srebrenica che ha subito la devastazione della guerra. Ogni cena è stata preparata con il lavoro dei partecipanti che hanno cucinato ciascuno un piatto del paese o della regione di origine. 



Un modo semplice per riaffermare la ricchezza di una storia da cui si proviene. E poi il “Cassoeula day”, competizione gastronomica organizzata a Carate Brianza dall’istituto di Formazione ImPresa, Camera di Commercio di Monza e Club di Papillon, in cui le diverse squadre dovevano sfidarsi nella preparazione della specialità simbolo di Brianza e Lombardia.  

Che vedeva in giuria figure di prestigio come gli chef Gilberto Farina, Matteo Scibilia, Alberto Somaschini di Associazione Cuochi Brianza ed Elena Massironi di CCIAA Monza e Brianza. E che nel suo svolgimento si è trasformata in vera festa di gusto e di popolo. 

Un evento che ha visto stare insieme generazioni diverse, sfatando il luogo comune dell’incomunicabilità, e dimostrando l’importanza della comunicazione e della condivisione del sapere. E una giornata in cui è stato chiaro che il passato, la storia, la tradizione, possono essere occhi preziosi per leggere il presente e guardare al futuro.