Il 3 febbraio la Chiesa Cattolica festeggia la memoria liturgica di San Biagio, o San Biagio di Sebaste, medico, vescovo e martire della comunità armena di Sebaste. Vissuto tra il III ed IV secolo (al tempo della “pax” costantiniana, ossia quando l’Impero Romano concedette ai cristiani la libertà di culto), San Biagio è uno dei santi più amati e venerati nonostante poco si conosca relativamente alla sua vita (le principali notizie biografiche, originariamente tramandate per via orale, si possono recuperare quasi esclusivamente nell’agiografia di Camillo Tutini). Di certo si sa che durante la sua attività di medico e vescovo, Biagio, fu protagonista di une serie di episodi prodigiosi. In proposito, si riporta un compendio della vita del santo tratto dal sinassario armeno (collezione di agiografie), al giorno 10 febbraio: “Nel tempo della persecuzione di Licinio, imperatore perfido, san Biagio fuggì, ed abitò nel monte Ardeni o Argias; e quando vi abitava il santo, tutte le bestie dei boschi venivano a lui ed erano mansuete con lui, egli le accarezzava; egli era di professione medico, ma con l’aiuto del Signore sanava tutte le infermità e degli uomini e delle bestie ma non con medicine, ma con il nome di Cristo. E se qualcuno inghiottiva un osso, o una spina, e questa si metteva di traverso nella gola di lui, il santo con la preghiera l’estraeva, e sin da adesso ciò opera; se alcuno inghiotte un osso, o spina, col solo ricordare il nome di S. Biagio subito guarisce dal dolore. Una povera donna aveva un porco, il quale fu rapito da un lupo; venne la donna dal Vescovo, e con pianto gli fece capire come il lupo aveva rapito il suo porco; allora il Santo minacciò il lupo, e questo rilasciò il porco…”A causa della sua fede, Biagio, venne catturato dai Romani, picchiato e scorticato vivo. Questa terribile pratica fu messa in atto con dei pettini di ferro, solitamente utilizzati per cardare la lana (motivo per cui è considerato patrono anche dei cardatori e delle attività agricole). Durante il suo processo, Biagio, rifiutò di abiurare la propria fede in Cristo e per questo, dopo che il suo corpo fu straziato, venne condannato alla decapitazione. Biagio morì, dunque, come martire intorno all’anno 316, a distanza di tre anni dalla concessione della libertà di culto nell’Impero.
E’ normale, a questo punto, domandarsi perché. Sebbene non sia possibile dare in merito una risposta certa, la motivazione più plausibile potrebbe essere ricercata nel contrasto scoppiato intorno al 314 tra i due “imperatori-cognati”. Il conflitto, tra tregue di breve durata e nuove lotte, non si risolse prima del 325, anno in cui Costantino fece strangolare Licinio in quel di Tessalonica (Salonicco). Come lo storico Eusebio di Cesarea ha documentato nel corso del IV secolo, il conflitto provocò in Oriente diverse persecuzioni locali (probabile opera di zelanti governatori) con distruzioni di chiese, cristiani condannati ai lavori forzati e vescovi barbaramente uccisi. Le spoglie mortali di san Biagio rimasero sepolte nella cattedrale di Sebaste fino al 732, anno in cui parte dei suoi resti (tra cui il “sacro torace”) vennero deposti in un’urna di marmo e partirono, via mare, alla volta di Roma. A causa di una spaventosa tempesta, però, la navigazione terminò lungo la costa di Maratea. Qui, i fedeli accolsero con giubilo le reliquie del Santo e decisero di custodire l’urna nella Basilica posta sul “monte San Biagio”. Oggi, in quella stessa Basilica, è possibile ammirare la “palla di ferro sparata dai cannoni francesi durante l’assedio del dicembre 1806; su questa palla di ferro, inesplosa, sono ben visibili delle impronte che, secondo la tradizione, sarebbero le dita della mano destra di san Biagio”. Ricordiamo che San Biagio, venerato sia in Occidente che in Oriente, è uno dei quattordici cosiddetti “santi ausiliatori”, ossia, quei “santi invocati per la guarigione di mali particolari”: San Biagio protegge, infatti, la gola ed è patrono degli specialisti otorinolaringoiatri. Per onorare la memoria di San Biagio, il 3 febbraio, è molto diffuso in tutta la Penisola il rito della “benedizione della gola”, legato ad un miracolo compiuto da Biagio. Secondo la tradizione, il vescovo di Sebaste avrebbe salvato un bimbo che stava soffocando a causa di una lisca di pesce che gli si era conficcata nella gola.
Per perpetuare il rito della benedizione della gola, durante la funzione liturgica, il sacerdote, è solito poggiare alla gola dei fedeli due candele incrociate (in passato, però, si utilizzava l’olio benedetto) ed invocare l’intercessione del medico-vescovo. La formula, recita: “Per intercessione di San Biagio, Vescovo e Martire, Dio ti liberi dal mal di gola e da ogni altro male. Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Amen”. Il culto di San Biagio non è legato solo al rito della benedizione della gola. Tante le tradizioni legate alla sua memoria. A Milano, dove il culto del santo è particolarmente vivo, si usa riunirsi a tavola con la famiglia e mangiare parte del panettone natalizio conservato appositamente. In questo modo, onorando il detto meneghino “San Bias el benediss la gola e el nas”, ci si vuole proteggere da mal di gola e raffreddore. Culto dei santi e gastronomia si intrecciano anche a Lanzara, centro del Cilento, dove è consuetudine mangiare la tradizionale “Polpetta di San Biagio” (protagonista, tra l’altro della “Sagra della Polpetta”, una delle più famose ed antiche dell’Agro Nocerino Sarnese). A Cannara, in provincia di Perugia, invece, si festeggia San Biagio con una serie di giochi popolari di abilità. Tra questi, il più avvincente è quello conosciuto con il nome di “Ruzzolone”. La gara in questione consiste nel “far rotolare le forme di formaggio per le vie del centro”. A Salemi (Trapani), dove San Biagio è co-patrono insieme a San Nicola, il 3 febbraio si svolge il tradizionale “Corteo Storico Rievocativo del Miracolo di San Biagio”, un’originale sfilata allegorica che si snoda per le vie del centro storico e “rievoca la liberazione di Salemi dall’invasione delle cavallette ad opera di San Biagio”. I fedeli, per l’occasione, oltre a rendere omaggio al Santo nella chiesa del quartiere del Rabato, sono soliti preparare dei pani votivi con della pasta non lievitata.