Un famoso foto-provocatore, Oliviero Toscani, dice che i veneti parlano da ubriaconi; il governatore del Veneto, Luca Zaia, gli lancia il guanto: ritrattazione o Canossa. Una volta si diceva, in lombardo e con disapprovazione, chi vosa pussé la vaca l’è sua, chi grida di più la vacca è sua. E Toscani è uno che con i suo scatti ha sempre vosato.



Oggi è proprio vero che internet detta legge ai media: anche in radio e in tv chi spara più cazzate, la vacca è sua. Uno po’ lo capisco, sono giorni mediaticamente difficili: la roba più allegra che hanno offerto ore e ore di cronache dell’insediamento quirinalizio è la Panda del presidente. Grigia. Solo che in poltrona davanti alla televisione puoi serenamente assopirti, se ascolti la radio mentre guidi un Tir, è pericoloso. Quel malandrino di Giuseppe Cruciani, conduttore della Zanzara su Radio24, queste cose le sa bene, e in studio ama chiamare non i maestri della noia ma i maestri della sparata. Va a nozze con i Borghezio e i Razzi, per esempio. Non annoiare senza sparare cazzate è un’arte anticamente detta giornalistica rimasta appannaggio di pochi, molto pochi. 



Il verbo del figlio del primo foto-reporter del Corriere si è diffuso prima che sui veneti, sul neo-capo dello Stato Mattarella (“Sapevo vagamente chi fosse, come sarà vagamente in futuroNon abbiamo mai avuto delle aquile come presidente”), sui seguaci di Grillo (“Ormai sono cotti, poveretti. Si sono ingrippati, hanno fuso il motore”), ancora sui grillini e sul capo del governo (“Ma questi e Renzi non dovevano rottamare tutto? Questo Renzi qua è vecchissimo, sembra mio zio”). 

Ce n’è anche per Salvini. Qualche settimana fa aveva posto le basi per una raffinata analisi politica sul capo della Lega, definendolo faccia di merda. Ora ha completato il giudizio allargando l’attenzione alla parlata (lombarda): “Da quando sento parlare Salvini, mi dà fastidio il mio accento lombardo, sto sui coglioni a me stesso”. E via col Veneto: “Succede anche quando sento il sindaco di Padova.L’accento dei veneti è da ubriachi, da alcolizzati, da ombretta”, e avanti aggravando le sentenze di questa dotta lezione di glottologia. 



Il fatto è che nel nichilismo applicato alla politica, che è la forma attuale del qualunquismo specie mediatico, ai presuntuosi campioni del cinismo cazzeggiatorio e insultante è tolto anche l’onere della prova.  E se li prendi sul serio, rischi di fare il loro gioco. Perché una volta c’erano i maître à penser: qui non si vedono maestri e non si vede neanche il penser.

Intervistai Oliviero Toscani negli anni 90, come chiestomi dal direttore del quotidiano dove allora lavoravo. Il tema era politico, non ricordo di preciso quale. Ricordo bene che Toscani, al telefono, mi ripeté più e più volte che gli italiani dovevano mettersi in testa tutti che si deve lavorare 14 ore al giorno e dire addio al turpe lusso delle ferie.

Dalla cornetta nessuno era in grado di percepire con l’olfatto il tasso alcolemico di chicchessia, e così quella risposta la riportai nell’intervista. Non ricordo che l’allora capo della Cgil Sergio Cofferati si fosse dato pensiero di replicargli o di chiedergli pubblica ammenda di fronte al popolo italiano lavoratore: lo ignorò, e morta lì. Almeno una cosa giusta il Cinese la fece anche lui, via.

Nel tritacarne mediatico di oggi, e con la velocità dei botta e risposta consentiti dai social, non si sa più ignorare nessuna bischerata dei furbacchioni. Insomma: si cazzeggia e si spara a cavolo per non annoiare, poi si puntualizza sulla sparata o sulla cazzeggiata come se fosse una cosa seria. 

Anni fa ero direttore di Lombardia Notizie, agenzia di informazioni regionali. Un bravo segretario di redazione di lungo corso un mattino sul presto mandò in rete un lancio di prova tecnico, con un testo che era tipico delle prove delle vecchie telescriventi in cui era cresciuto. Al tempo delle telescriventi non c’era la Lega. Il testo era: “E la bandiera dei tre colori è sempre stata la più bella, trullallà, noi vogliamo sempre quella, noi vogliamo la libertà”.  Fui accusato da alcuni esponenti di aver imposto all’agenzia una linea nazionalista e antifederalista. Cosa avrei dovuto puntualizzare?

Luca Zaia è uomo e politico di statura infinitamente superiore a quegli accusatori. E’ un buon governatore, come è stato un buon ministro dell’Agricoltura. Io, se posso permettermi, non avrei dato peso a Toscani, ma al grandissimo veneziano Lino Toffolo, inarrivabile autorità in tema di rapporti tra lingua veneta e succo d’uva. Tant’è che la sua ironica macchietta del venesian embriago era nel contempo, grazie al fondo buono del suo umorismo e del suo garbo, una umanissima e simpatica icona dell’uomo veneto.

Appena tre settimane fa, sempre alla Zanzara (9 gennaio), Toscani ha distillato profondi giudizi storici tipo: “Le religioni sono tutte uguali, hanno sempre prodotto disastri e carneficine. La Shoah l’ha pensata un cattolico. E’ imbarazzante essere cattolico, io sono ateo, non ho nessun Dio dalla mia parte. Se pensi di avere Dio dalla tua parte fai delle cazzate”.

Ma, dico io, anche se non lo pensi.