L’8 febbraio la Chiesa Cattolica celebra Santa Giuseppina Bakhita. La santa nacque a Olgossa, un villaggio situato nella regione del Darfur nel Sudan, intorno al 1869. A soli sette anni venne rapita da alcuni mercanti di schiavi arabi e venduta a vari padroni nei mercati di El Obeid e di Khartum, subendo violenze fisiche e psicologiche tali da non ricordare più le sue origini e il suo vero nome, mantenne quindi quello che gli diedero i suoi rapitori, Bakhita, che significa “Fortunata”. Tra le orrende violenze subite una delle peggiori le fu inflitta da un padrone turco, che attuò un rito tribale tatuando il suo braccio, il ventre e il petto con ben 114 tagli di rasoio, poi ricoperti di sale per formare le cicatrici permanenti. Nel 1882 venne venduta per la quinta ed ultima volta a Kartum e fu acquistata dal console Italiano Callisto Legnani, che aveva intenzione di renderle la libertà, come aveva già fatto con numerosi bambini schiavi che restituì alle famiglie d’appartenenza. Purtroppo per Bakhita questo non fu possibile sia per i suoi vuoti di memoria sia per la distanza dalla suo luogo d’origine, restò quindi sotto la protezione del console per due anni e vi lavorò assieme ai domestici senza essere considerata una schiava. Nel 1884, in seguito alla guerra Madhista, Legnani fu costretto a fuggire in Italia e Bakhita lo implorò di poterlo seguire, il diplomatico acconsentì e sbarcò con lei a Genova qualche mese più tardi, grazie all’aiuto di Augusto Michieli, un amico di Legnani. Il console, una volta in Italia, affidò Bakhita a Michieli e sua moglie a Zianigo (Mirano), dove per tre anni diventò la bambinaia della loro figlia Alice. Nel 1887 i coniugi Michieli si trasferirono temporaneamente a Suakin, in Africa e affidarono la loro figlia e Bakhita presso l'”Istituto dei Catecumeni in Venezia gestito dalle Figlie della Carità” (suore Canossiane) dove acquisì un’istruzione religiosa. Quando la signora Michieli fece rientro in Italia per riprendersi sua figlia e Bakhita, lei scelse di rimanere in istituto con le suore, ma la signora andò su tutte le furie, facendo intervenire il cardinale patriarca di Venezia Domenico Agostini e il procuratore del re, ma entrambi fecero notare alla signora Michieli che in Italia la schiavitù non era consentita e il 29 novembre 1889 Bakhita fu finalmente libera e rimase nel convento delle suore Canossiane. Il 9 gennaio 1890 Bakhita ricevette i sacramenti cristiani con il nome di Giuseppina Margherita Fortunata. Nel 1893 intraprese il noviziato e l’8 dicembre 1896 prese i voti. Nel 1902 fu trasferita nel convento di Schio dove vi lavorò come cuciniera, portinaia e assistente infermiera in occasione della Prima Guerra Mondiale, quando il convento fu adibito ad ospedale militare. Dal 1922 ricoprì il ruolo di portinaia, mansione che la portava a relazionarsi con i cittadini di Schio, che la amarono fin da subito e le diedero il soprannome di “Madre Moréta”. I suoi modi gentili, il suo volto sempre sorridente e il suo carisma fu notato dai suoi superiori, che le chiesero di redigere le sue memorie. Dato che Bakhita conosceva solo il dialetto veneto, chiese a suor Teresa Fabris di adempiere a tale compito e così, nel 1910, scrisse un manoscritto di 31 pagine in italiano. Nel 1931 Ida Zanolini, a seguito di alcune interviste alla Santa, pubblicò il libro “Storia Meravigliosa” che donò molta notorietà a Bakhita, la quale cominciò a intraprendere conferenze missionarie assieme a suor Leopolda Benetti. In realtà Bakhita era molto timida e non sapeva esprimersi bene in italiano, perciò in queste conferenze si limitava a pronunciare qualche frase, ma la sua fama era così grande da attirare numerose persone che si presentavano anche solo per vederla. L’11 dicembre 1936, assieme ad un gruppo di sorelle missionarie, fu ricevuta a Palazzo Venezia da Benito Mussolini. Dal 1939 cominciò una lunga malattia che la costrinse a non allontanarsi più da Schio. Morì l’8 febbraio 1947.