La vibrante e appassionata discussione in Parlamento sulla possibilità di consentire alle famiglie affidatarie di trasformare l’affido in adozione ha avuto il grande merito di riportare all’attenzione dei media e della pubblica opinione un argomento forse un po’ trascurato, ma decisivo per un Paese civile: la tutela dei minori in una nuova famiglia, quando la loro famiglia di origine non ce la fa. 



In effetti il nostro sistema di protezione dell’infanzia “fuori famiglia” ha tentato di basarsi in modo significativo sull’accoglienza familiare, valorizzando sia l’adozione, sia l’affido eterofamiliare. Due condizioni diverse per i bambini, due scelte diverse da parte delle famiglie.



A. Con l’adozione si facevano i conti con una situazione familiare considerata irrecuperabile, e il bambino diventava figlio a tutti gli effetti di una nuova coppia, perché i suoi genitori o erano scomparsi, o erano dichiarati definitivamente incapaci di svolgere le necessarie funzioni di cura, protezione ed educazione. Per questo la legge aveva scelto di chiedere alle coppie adottive un progetto forte, basato sul matrimonio (impegno stabile assunto pubblicamente), con percorsi di selezione particolarmente impegnativi. Perché per restituire il benessere a questi bambini, privati della propria famiglia di origine, si è cercato di individuare il massimo di protezione e di impegno pubblico. 



B. Con l’affido invece si facevano i conti con una famiglia d’origine in difficoltà, che non riusciva più a garantire il benessere dei propri figli i quali quindi venivano temporaneamente affidati ad altre famiglie. Però esisteva un presupposto di “recuperabilità”, e quindi si costruiva, con l’affido, uno spazio di accoglienza familiare per i minori, ma al contempo si ipotizzava un percorso di sostegno e recupero della famiglia di origine, perché poi i bambini, dopo un congruo tempo, potessero ritornare nella propria famiglia. In questa temporaneità, sempre secondo la legge, si poteva quindi ipotizzare di affidare anche ad un single il benessere di questo bambino, in vista di un rientro nella propria famiglia di origine. E forse vale la pena di ricordare oggi, di fronte al dibattito parlamentare, che troppi affidi si prolungano nel tempo proprio perché mancano o sono deboli gli interventi di sostegno e recupero delle famiglie di origine. Più investimento sulle famiglie di origine e sul loro sostegno sarebbe forse un altro nodo che meriterebbe attenzione dal Parlamento. 

Il dibattito dei giorni scorsi si è giustamente concentrato su un nodo cruciale, su una condizione oggettivamente complessa, che la semplice scelta secca tra affido e adozione non era in grado di accogliere: la situazione di tanti bambini in affido che vedevano prolungarsi nel tempo l’affido, a fronte di una oggettiva impossibilità di costruire il rientro nella famiglia di origine, nonostante i progetti iniziali di rientro. Così, spesso, dopo i primi 24 mesi si aggiungevano altri 24 mesi, e poi si proseguiva sine die, sempre nella forma dell’affido, a volte fino alla maggiore età od oltre, con famiglie di origine solo formalmente presenti.

Inoltre la legge, per separare radicalmente i percorsi di affido dall’adozione, di fatto impediva che i genitori affidatari potessero diventare quelli adottivi, generando così una dannosissima discontinuità educativa per il bambino, costretto a passare dalla famiglia affidataria ad una diversa famiglia, se adottiva. Su questo tema si sono visti affidi illimitati ai limiti della correttezza normativa, ma anche sperimentazioni di “adozione mite”: soluzioni, cioè, che tentavano di entrare in questa difficile zona grigia, tra l’affido e l’adozione, per impedire la rottura delle relazioni tra minori e famiglie affidatarie “di lunga durata”.

Promuovere quindi la possibilità che le famiglie affidatarie, in caso di oggettiva condizione, possano diventare esse stesse adottive ci pare un grande successo, trasformando così la cura e il progetto dell’accoglienza da temporanea — l’affido — a permanente — con l’adozione, con il chiaro obiettivo di tutelare il bambino e la continuità delle sue relazioni educative ed affettive. Tuttavia nei primi testi dei disegni di legge in discussione questa possibilità era riservata solo alle coppie sposate (in piena continuità con le regole dell’adozione, che è appunto riservata a coppie legalmente sposate), mentre a sorpresa il testo arrivato in aula apriva, con un emendamento promosso dalla sen. Puglisi, questa opzione anche ai single (come per l’affido). Ma per fortuna, dopo il dibattito in aula e tante voci di protesta di tante associazioni di famiglie accoglienti, la stessa sen. Puglisi ha ritirato questo emendamento. 

Al di là delle motivazioni del dibattito in aula, la ratio della limitazione alle coppie sposate appare di una evidenza cristallina: offrire ai bambini una famiglia che abbia il massimo della stabilità e dell’impegno pubblico, attraverso il matrimonio. Una coppia sposata testimonia infatti una esplicita responsabilità sociale, formalizzata nel patto matrimoniale, sottoposto ai vincoli della legge, e garantisce al bambino un padre e una madre, cioè una coppia genitoriale completa, il che costituisce ovviamente maggiore garanzia di benessere. Quindi la legge vuole assicurare anche a queste situazioni il massimo di tutela possibile. 

Certo, molti affidi da parte di persone sole riescono ottimamente, e in “casi speciali” si può già oggi approvare un’adozione da parte di un single, ai sensi dell’art. 44 della legge 149. Ma si tratta, appunto, di casi speciali, mentre la generalità della risposta dello Stato deve necessariamente tendere a dare il massimo ad un bambino in difficoltà. E per lo Stato il massimo è una coppia genitoriale completa, regolarmente sposata, che proprio davanti allo Stato si è impegnata alla stabilità e ai compiti di cura previsti dal codice civile.

Confidiamo quindi che i provvedimenti per la tutela dei bambini, nel nostro Paese, siano sempre orientati al superiore interesse del minore, soprattutto quando si tratta di accoglienza familiare, senza ambigue forzature di norme che rischiano di tutelare solo gli adulti.