Due anni con Francesco, il Papa che “venuto dalla fine del mondo” non ci ha messo molto a mettersene al centro. Non solo recuperando un’immagine al Vaticano per molte ragioni appannata: scandali legati alla pedofilia nelle chiese locali, finanze vaticane, tensioni nei palazzi apostolici, nello specifico italiano un collateralismo spesso degno di miglior causa con la politica. Le dimissioni di Benedetto, un evento per certi aspetti inaudito, ne sono stata una sintesi “ispirata”. Che ha consentito alla Chiesa di tornare a respirare a pieno a due polmoni, quello della fede, che non le è mai mancata, e quello, con qualche problema di affanno, della credibilità extra moenia, nel senso del mondo cui è venuta ad annunciare Cristo.
E i primi frutti se ne sono visti sul terreno diplomatico con l’aiuto del nuovo segretario di Stato Pietro Parolin su diversi scenari; esemplare il contributo alla riapertura delle relazioni tra Cuba e Stati Uniti. Ma anche guadagnando l’attenzione del “mondo”, ponendo al centro del suo messaggio pastorale le”periferie”, nella carne e nello spirito: la povertà cristiana come non solo fatto materiale, ma bisogno umano di senso alla propria vita. Le “periferie” in cui è caduta «la normalità della vita», così cara a Francesco, come vita quotidiana della missione della Chiesa come magistero di umanità, che gli uomini, per parlargli di Cristo, se li va a cercare dove sono, nei loro problemi di ogni giorno, e non li aspetta in sacrestia. La Chiesa “in uscita” di Francesco, che affina al dettaglio della vita di ogni giorno la profezia “globale”, in giro per il mondo, di Wojtyla; animata dal misticismo di Benedetto.
Se dovessi indicare il motore interno dell’«operosità» pastorale di Francesco, che sta sollecitando processi di non poco conto anche sul terreno dottrinale e del governo della Chiesa istituzione, lo indicherei in questa sintesi; che è poi il guardarsi dalla seconda delle «malattie» che a Natale elencava alla Curia come l’«eccessiva operosità» che «fa trascurare la parte migliore: sedersi ai piedi di Gesù». E’ l’ora che trovi ai suoi piedi della tua giornata, che ti fa capire il senso del tuo affaccendarti, e come farlo al meglio al servizio del ministero che ti è stato affidato. A Santa Marta con Francesco c’è sempre l’ora di sua sorella Maria.
In questo stare nella normalità del mondo della straordinarietà del fatto cristiano, in questo annuncio rinnovato della sua utilità, dell’utilità della fede per la vita dell’uomo di ogni giorno, per le sue esigenze fondamentali, ogni volta all’altezza del suo tempo, anche oggi, c’è quel che voleva realizzare il Concilio Vaticano II, di cui, in questo secondo anno di Francesco, ricorre il cinquantenario della chiusura. La sensazione è che Francesco ne cerchi e ne voglia essere per la Chiesa il compimento nella quotidianità della vita, dove l’incarnazione cristiana continui a essere la sua storia, il posto che ha voluto nel mondo per metterselo sulle spalle. Nel mondo della vita minuta di ogni giorno, perché una noce nel sacco non fa rumore, ma molte fanno rumore, sono un destino e sono storia.