E’ la mattina del 13 agosto 2007 quando Alberto Stasi, al tempo ventiquattrenne studente bocconiano, telefona al 118 dichiarando di aver trovato una persona uccisa in casa. E’ la sua fidanzata, Chiara Poggi. La giovane giace a terra, riversa in una pozza di sangue nella sua abitazione di Garlasco, in provincia di Pavia. Alberto viene sottoposto ad interrogatorio da parte dei carabinieri per tutta la notte. Gli vengono sequestrati computer e bicicletta, mentre i militari perquisiscono la sua abitazione da cima a fondo. Poco più di un mese dopo viene arrestato perché ritenuto l’autore del delitto. Nonostante alcuni indizi a suo carico, tra cui tracce di Dna della vittima su una bicicletta, Stasi viene scarcerato dopo soli quattro giorni di detenzione per insufficienza di prove. Dal sequestro del suo computer viene rilevata la presenza di immagini pedopornografiche, ma nel gennaio 2014 la Terza Sezione penale della Cassazione ha assolto Stasi dall’accusa di detenzione di materiale pedopornografico. Nel frattempo il ragazzo riesce a conseguire la laurea alla Bocconi, nel marzo del 2008, mentre nel 2009 inizia l’udienza preliminare. I suoi legali gli consigliano di scegliere la formula del rito abbreviato e il 9 aprile dello stesso anno i giudici chiedono per lui la condanna a 30 anni di reclusione, ritenendolo colpevole senza ombra di dubbio. Ma, contro ogni aspettativa, il 30 aprile viene deciso dal Gup di eseguire altre perizie sui diversi punti oscuri dell’inchiesta. Così a dicembre Alberto Stasi viene assolto. I suoi avvocati, attraverso una perizia informatica, sostengono che l’imputato, nelle ore in cui veniva compiuto il delitto, si trovava a casa sua intento a preparare la tesi di laurea.



Circa due anni dopo inizia il processo di appello. Per Stasi vengono chiesti nuovamente 30 anni di reclusione, ma l’imputato guadagna una nuova assoluzione. I giudici della Corte d’Assise d’Appello parlano di verità “inconoscibile”, confermando che le prove a carico di Stasi non sono sufficienti a determinarne la certezza della colpevolezza. Dopo due assoluzioni, il 17 dicembre scorso arriva la prima sentenza contro Stasi che viene condannato a sedici anni di reclusione. I suoi legali annunciano ricorso in Cassazione, mentre i genitori di Chiara Poggi si dicono soddisfatti: “Ci interessava la verità per Chiara, nulla di più. Non ci interessa la pena, ma la sentenza”. Oggi che le motivazioni della sentenza sono state depositate dai giudici della Corte d’Assise d’Appello di Milano, i legali di Stasi hanno 45 giorni di tempo per presentare il ricorso in Cassazione.

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