Papa Francesco non è la star dei suoi viaggi, non ha voluto esserlo neanche a Napoli. A Roma si racconta la storiella di un sacerdote che aveva partecipato più di una volta alle Messe di Santa Marta. Fino a quando il Papa non gli ha detto: “Ma non ci saranno a Roma chiese dove lei possa celebrare per i fedeli?”. L’anno scorso, in un’intervista, aveva spiegato che “non mi piace una certa mitologia di Papa Francesco. Sigmund Freud diceva, se non sbaglio, che in ogni idealizzazione c’è un’aggressione. Dipingere il Papa come una sorta di superman, una specie di star, mi pare offensivo. Il Papa è un uomo che ride, piange, dorme tranquillo e ha amici come tutti. Una persona normale”.
Per questo quando, per la prima volta nella storia, il sangue di san Gennaro si scioglie “a metà” tra le sue mani, commenta: “Il vescovo ha detto che il sangue è metà sciolto: si vede che il santo ci vuole bene a metà, dobbiamo convertirci un po’ tutti perché ci voglia più bene”. Nessun trionfalismo. Il Papa non viene a portare ma a prendere. Napoli durante la sua storia è stata derubata di tanto, di troppo, ma ha un tesoro. L’oro di Napoli, parafrasando il titolo di un famoso film, è Dio e Papa Francesco non è venuto solo a testimoniarlo ma a svelarlo.
“Oggi sono venuto a Napoli per proclamare insieme a voi: Gesù è il Signore! Ma non voglio dirlo solo io: voglio sentirlo da voi, da tutti, adesso, tutti insieme “Gesù è il Signore!”, un’altra volta “Gesù è il Signore!” Nessuno parla come Lui! Lui solo ha parole di misericordia che possono guarire le ferite del nostro cuore. Lui solo ha parole di vita eterna”.
Se c’è un popolo ferito, è quello napoletano. Ferito dalla crisi odierna e da una storia di sopraffazione e povertà. Non si tratta di fare liste di buoni o cattivi o di dare un nome, una faccia, alle colpe. Ci sono altre sedi e altri momenti. Papa Francesco è venuto a fare un coro, a sentire un’eco: “Gesù è il Signore”. Papa Francesco non ha accolto l’invito del cardinal Sepe per gettare un seme: è andato ad essere seme nella terra di Napoli. Dice di essere venuto a sentire qualcosa, un grido. Quando le voci sussurrano per la paura e per la sopraffazione di poteri forti e malavitosi c’è bisogno di un urlo. Un urlo non di battaglia armata ma di battaglia disarmata. Gioca con la parola “pulizia” e “puzza” ma poi proclama: pace amore perdono misericordia. Senza virgole. Secondo me va scritto così: senza virgole. Una sola parola, un solo gesto, un solo atto. Non funzionerà nient’altro, nessun’altra bonifica, retata, iniziativa pastorale, servirà a nulla senza questa “parola” di quattro parole senza virgole.
Lo dice chiaramente in una Piazza del Plebiscito gremita: non c’è altra potenza della debolezza e dell’umiltà di questo Re. “La parola di Cristo è potente: non ha la potenza del mondo, ma quella di Dio, che è forte nell’umiltà, anche nella debolezza. La sua potenza è quella dell’amore: questa è la potenza della parola di Dio! Un amore che non conosce confini, un amore che ci fa amare gli altri prima di noi stessi. La parola di Gesù, il santo Vangelo, insegna che i veri beati sono i poveri in spirito, i non violenti, i miti, gli operatori di pace e di giustizia. Questa è la forza che cambia il mondo!”
Il Papa ha visitato solo uno dei santuari di Napoli, quello di Pompei. Ma in effetti lui dice forte e chiaro che i santuari a Napoli sono tantissimi: “ogni parrocchia e ogni realtà ecclesiale”. Da lì rinascerà Napoli e la sua gente: dalla misericordia verso i suoi figli più fragili e più deboli.