Ancora una volta il mistero, la provocazione, la continua domanda che è quel telo di lino intriso di sangue. Il 19 aprile prossimo si apre solennemente a Torino la nuova Ostensione della Sindone. Avremo 67 giorni per contemplare, regalo che arriva a rate, “l’uomo dei dolori”, come nel 2010 Benedetto VXI chiamò l’immagine impressa su quel pezzo di stoffa, l’icona in cui l’umanità sofferente “si ritrova”, ma anche “trova” consolazione.



Secondo la tradizione si tratta del sudario in cui fu avvolto il corpo crocifisso di Gesù, più prudentemente la Chiesa, nell’ultimo secolo, parla de “l’Uomo della Sindone”, un flagellato, un crocifisso, un corpo martoriato che esprime una “sovrana maestà” come ebbe a dire il neo-pontefice Francesco, nel marzo del 2013, a poche settimane dalla sua elezione, in un videomessaggio registrato per l’Ostensione televisiva.



Del lenzuolo stretto e lungo, oltre 4 metri, ciò che colpisce come un pugno è il Volto dell’uomo torturato, la pace che lo attraversa nonostante la morte orribile, le sofferenze estreme, i segni di un martirio feroce. E’ un Volto che oggi richiama i martiri copti uccisi sulle spiagge della Libia, i fuggiaschi iracheni e siriani sottoposti ad ogni genere di violenza, le donne stuprate e massacrate in Pakistan o Afghanistan. E’ l’immagine sintetica e massima della sofferenza umana, e allo stesso tempo la testimonianza più vera della follia e della crudeltà a cui può giungere il cuore dell’uomo. C’è il sangue e ci sono le impronte delle ferite, la flagellazione sul corpo e la corona di spine sulla testa, ci sono i grumi di liquidi e i buchi dei chiodi sulle mani e sui piedi. C’è il grado zero della presenza umana, l’essere colto nel momento del più grande abbassamento. Cadavere rigido, senza vita. Struggente richiamo al nulla che siamo senza la Resurrezione. Perché la contemplazione della Sindone, se si va oltre la cervellotica e vacua discussione sulla sua autenticità, porta inevitabilmente a credere, ad entrare nella Mistero dell’essere umano, ma soprattutto nel Mistero del Dio crocifisso.



Ratzinger parlava della Sindone come dell’Icona del Sabato Santo. In una delle più belle meditazioni mai scaturite dallo sguardo al sacro lino, descriveva il “telo sepolcrale” come qualcosa che parlava e parla del momento esatto in cui Cristo è entrato nella “terra di nessuno” tra la morte e la resurrezione. L’istante in cui la Passio Christi è la Passio hominis, il punto unico in cui Dio fattosi uomo entra nella “solitudine estrema e assoluta dell’uomo, dove non arriva alcun raggio d’amore, dove regna l’abbandono totale senza alcuna parola di conforto”.

Ricordo che rimasi scossa da quella lucida analisi teologica del Sabato Santo, il giorno del silenzio e del nascondimento di Dio. Così come mi sentii consolata dalla certezza, espressa dal già anziano pontefice che “Gesù Cristo rimanendo nella morte” aveva oltrepassato la porta di una “solitudine estrema” per guidarci verso il Padre e la salvezza. Nel silenzio del Sabato Dio urla il nostro nome e ci prende per mano. In fondo guardando la Sindone maturiamo la certezza che non saremo mai soli, che la nostra sofferenza è quella di Cristo, che il nostro dolore è il suo e che persino attraversando la morte Qualcuno troverà la nostra mano.

Per questo quel pezzo di stoffa a spina di pesce, comparso quasi miracolosamente nel XIV secolo in Francia, a Lirey, e finito per i capricci della storia nelle mani dei Savoia ha un valore che prescinde dalle indagine scientifiche e dalle ricerche storiche. Ed è bello che il suo valore sia stato esaltato dagli organizzatori dell’Ostensione 2015, che proprio ai malati e ai giovani, categorie quanto mai “deboli” e “crocifisse” oggi, hanno voluto riservare percorsi personalizzati per la preghiera e la visione. Si parla già di 850mila prenotazioni, con oltre il 10 per cento di richieste arrivate dall’estero. Un evento dai grandi numeri che sarà sugellato dalla presenza di Papa Francesco, nei 200 anni dalla nascita di uno dei grandi santi piemontesi, Giovanni Bosco. Sarà bello vedere il Papa della Misericordia contemplare quel lenzuolo di lino. Sarà bello scoprire ancora una volta che non siamo soli.

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