E’ stato il copilota, Andreas Lubitz, 27 anni, a fare schiantare contro una montagna della Provenza l’Airbus A320 diretto da Barcellona a Dusseldorf. Sembra che Lubitz soffrisse di depressione. Fatto sta che la sua lucida volontà suicida ha trascinato con sé nella morte anche le 150 persone che stavano a bordo. Si è chiuso nel cockpit e ha avviato la procedura di discesa controllata, una manovra di routine fatta con rigore, senza dire una parola, senza un’emozione (la scatola nera gli attribuisce una “respirazione normale” fino all’ultimo). Molto adesso si dirà di lui, e si parla già di nuove regole, come quella del doppio pilota in cabina (lo hanno annunciato ieri Alitalia e EasyJet). Secondo Danilo Recine, pilota di linea e membro del coordinamento nazionale piloti dell’Anpac, occorre ripristinare il Pilot Advisory Group (Pag), una struttura di ascolto che è stata eliminata per ragioni di risparmio.



Ora sappiamo che tutto è accaduto a causa di Andreas Lubitz, 27 anni, tedesco di Montabaur, 630 ore di volo. Sono tante o sono poche?
Sono giuste per il livello di età anagrafica e di addestramento che quella persona aveva.

Lei che idea si è fatto?
Le rispondo da pilota, non da inquirente e nemmeno da uno che può fare discorsi sul profilo psicologico di Lubitz. Che dire… Certo la sua lucidità è stata impressionante: ha fatto tutto in modo perfetto, ragionato, impostando la discesa in modo tale da non destare il minimo sospetto. Ora dobbiamo chiederci che cosa si può fare in futuro per evitare il ripetersi di una tragedia come questa.



E che cosa risponde?
Posso dirle che fino al 2002 anche in Italia le compagnie aeree principali erano dotate di una struttura assai efficace, chiamata Pilot Advisory Group (Pag). Uno sportello di ascolto al quale il pilota si sentiva libero di segnalare le proprie difficoltà, protetto dall’anonimato. Naturalmente tale struttura aveva un costo.

Come funzionava?
Se dicevi: ho questo problema, non posso volare, venivi aiutato, ti veniva garantita un’adeguata assistenza psicologica. E mantenevi il posto di lavoro. Una situazione come quella di Lubitz sarebbe stata nota, la si sarebbe affrontata, e la tragedia forse si sarebbe potuta evitare.



Che cosa non va nelle compagnie?
Si taglia tutto ciò che si può tagliare, beninteso sempre entro il limite di quanto è previsto dalle norme. In questo modo però si vanno ad abolire servizi  che in un’azienda di trasporto aereo civile, a mio modo di vedere, restano fondamentali in tema di addestramento e prevenzione.

Lei quindi è molto critico con le compagnie low cost.
Non si tratta soltanto delle low cost, ma anche di alcune major. Chi non ha la Pag non viola le regole, ma la domanda è un’altra: la compagnia che se ne dota, fa una cosa utile? Io credo di sì.

E’ vero che i regolamenti europei permettono che un pilota rimanga solo in cabina di pilotaggio, mentre quelli statunitensi no? 

La normativa sovranazionale prescrive che il cockpit sia protetto da una porta blindata. Alcuni paesi e alcuni operatori possono essere più o meno restrittivi, ma posso dire, senza temere smentite, che anche le compagnie Usa prevedono che un pilota possa lasciare temporaneamente il cockpit, ed è facile immaginare il perché: si immagina un volo Usa-Europa di 5-6 ore, dunque non lunghissimo, senza la possibilità di assentarsi nemmeno per andare alla toilette?

In questo modo però si verifica esattamente la situazione del volo Germanwings.
La realtà è che un pilota deve sempre poter andare in cabina passeggeri e non solo. Ci sono situazioni che vanno esaminate di persona, in quanto potrebbero richiedere una valutazione tecnica. Ad esempio un rumore anomalo o altro.

Quindi?
Nel momento in cui uno di noi si assenta, la porta del cockpit deve sempre rimanere chiusa e bloccata. A questo punto diverse scelte sono possibili. Alcune compagnie prevedono che all’esterno del cockpit ci sia un assistente di volo, a mo’ di protezione della porta, altre in aggiunta richiedono che non ci siano estranei nella zona antistante, altre ancora prevedono che un assistente di volo vada in cockpit per il tempo di assenza dell’altro pilota. 

In base alla sua esperienza, ci sono soluzioni migliori di altre?
Il problema è sempre il solito, oggi si fa ciò che è necessario contro ciò che è utile. L’incremento del numero di membri di equipaggio potrebbe essere una soluzione, altre soluzioni ce le possiamo inventare, senza per questo arrivare a dotare i voli di quattro piloti il che sarebbe ovviamente improponibile. 

In ogni caso, nel momento in cui Lubitz si è chiuso in cabina 150 persone di fatto erano spacciate.
Da quello che è stato detto in via ufficiale è evidente che il pilota rimasto in cockpit ha fatto in modo che l’altro pilota non rientrasse.

Non le dà i brividi il solo pensarlo?
Vede, siamo vittime di un nuovo effetto paradossale. Il primo è che l’11 settembre 2001 ha stravolto tutte le regole di sicurezza, e per paura dei dirottatori abbiamo fatto di tutto per impedire che un estraneo possa entrare nel cockpit. Il secondo è quello che abbiamo visto l’altro giorno. Abbiamo fatto così tanto per proteggere il cockpit da chi sta fuori, che non abbiamo fatto nulla per proteggerci dai folli o da persone come Lubitz, che stanno dentro.

Secondo lei ci sono procedure che possono metterci al riparo da casi come questo?
A livello tecnico no, perché se c’è una procedura e la volontà umana è sovra-ordinata alla procedura, decide l’uomo. Detto questo, non più tardi di cinque mesi fa ho fatto parte di una delegazione Anpac che è andata al ministero dei Trasporti per chiedere di ripristinare la struttura (Pag) che le ho detto.

E che cosa vi hanno risposto?
Abbiamo ricevuto risposte assolutamente aperte e costruttive. Però eliminare ogni rischio, in senso assoluto, è un’utopia, perché un infarto può venire anche alla persona più sana e che ha fatto l’elettrocardiogramma il giorno prima. Ora bisogna fare il possibile per evitare che altri Andreas Lubitz possano sedersi in cabina.

(Federico Ferraù)

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