Assolti. Amanda Knox e Raffaele Sollecito sono stai assolti per l’omicidio della ragazza inglese Meredith Kercher, il 1° novembre 2007. Otto anni, che hanno visto il succedersi di una condanna in primo grado a 25 e 26 anni; un’assoluzione in Appello, un annullamento da parte della Cassazione e un rinvio ad altro tribunale che emette una condanna all’Appello bis, aumentando addirittura la pena per i due imputati. Oggi la Cassazione assolve senza rinvio la bionda faccia d’angelo e il Forrest Gump de noantri come con felice intuizione l’ha definito nell’arringa il suo avvocato, Giulia Bongiorno.
Non mi appassionano i casi di cronaca nera, se non per riflettere sul dolore e sulla banalità del male. Non mi interessa l’affannata rincorsa dei minimi particolari, la grande bouffe di un pubblico abituato alle fiction più trucide e intricate, e non mi va di piegarmi alla chiacchiera d’ufficio o da bar per discettare di dna, impronte di suole, gancetti di reggiseno strappati. Di cedere alla tentazione di tenere per gli uni o per gli altri, sula base di sensazioni, di espressioni più o meno simpatiche, di scandalismi alla buoncostume. Non siamo tutti giuristi, come non siamo tutti ct e un processo per omicidio non è una partita. Non ne so nulla, e non voglio commuovermi davanti a lacrime che non posso giudicare sincere, davanti a chi sempre e comunque chiede condanna, credendo che significhi tout court giustizia.
Ma ho detto “meno male”, alla notizia della sentenza. Sarei stata molto turbata da una condanna, a otto anni dal crimine, dopo la ridda di diverse interpretazioni, il tira e molla di colpa o innocenza affibbiato ai fidanzatini di Perugia. Un tempo lo erano, e chissà con che coscienza. Hanno perso anni di giovinezza, anni di carcere, anni di tensione, accuse, ingiurie, che avrebbero fiaccato chiunque. Non basta scrivere un libro per ripagare una vita spezzata, non illudiamoci che la luce dei riflettori fosse sufficiente a ripagare la sofferenza.
Qualcuno azzarda che la vicenda abbia giovato alla fama e al portafoglio, e mi pare indegno. E’ evidente che se sono degli assassini Amanda e Raffaele dovrebbero stare in galera. Ho molti dubbi che il carcere li avrebbe resi migliori e salvati. Ma se non lo sono, è terribile che siano passati per tanti anni dalle aule giudiziarie. Tutti i processi, le posizioni opposte di illustri avvocati, fino alle dieci ore di camera di consiglio per arrivare alla decisione finale, sono comunque troppi, troppa l’incertezza, per non lasciare sempre e comunque il dubbio di un errore.
E nell’errore, meglio l’innocenza della colpevolezza, l’assoluzione della condanna. Anche perché Raffaele e Amanda una condanna l’hanno già scontata. In dubio pro reo, lo crediamo fermamente, soprattutto se abbiamo dei dubbi sul fatto che reo sia davvero.
Questa storia ci dice ancora una volta che la giustizia che accampiamo non è giusta affatto. Perché una ragazza, Meredith, è stata uccisa, e non si sa da chi. Non penso che i suoi genitori si sentano feriti dalla mancata condanna degli imputati. La vendetta non seppellisce il dolore, non chiude nulla, nella memoria nel cuore e nella ricerca di un perché. Ma c’è una vittima. E c’è un carnefice o più che gira liberamente. Perché ci è stato detto che l’unico che ha pagato e sta pagando, Rudy Guede, non è l’unico colpevole di questa storia, e ci rimane il dubbio che abbiano preso lui perché era più facile, perché non aveva i mezzi per sostenere una difesa convinta, di livello.
Non indigniamoci al pensiero che in America, civilissimo paese, che a pagare di più sono i poveri e i neri, i poveri neri. Caliamo il sipario, signori delle corti autorizzate e improvvisate. Lasciamo riposare Meredith in pace, che la sua pace non dipende dalle nostre condanne. Sarà la coscienza, che vive e parla nel cuore dell’uomo, a far scontare la pena ai colpevoli, a tormentarne i giorni. Su Meredith il sipario, al di là di questo tempo breve, non calerà mai.