Gianna, Viola e Maria, le chiama il Corriere della Sera. Quando si inventano i nomi, non si fa troppo caso ai mondi che suggeriscono, si va sui primi che capitano. Ma nella vicenda della giovane delinquente di Sestri che picchia una ragazzina, c’è ben poco di poetico, di floreale e di santo. Uno sgarro, vendicato con pugni, calci, morsi, insulti. Chi aggredisce ha 15 anni, chi subisce 12. E sono due esseri femminili, di quelle che manco con un fiore. 



Invece Gianna, la chiamiamo così anche noi, vorremmo prenderla a calci nel sedere e a sberle, e pazienza se usiamo il suo stesso metodo, i fini sono diversi. Anche perché è l’unico linguaggio che capirebbe, l’unico modo per bloccarla, e farle capire che chi rompe paga, chi fa del male ne riceve. Ma è la legge de taglione, e questa giovane donna cresciuta male, e anzitempo, è una vittima come la più piccola compagna che ha picchiato. 



Pare che l’offesa insanabile se non con il sangue riguardasse un apprezzamento poco carino sui denti gialli di una ragazza più grande. La quale non manda a stendere la più piccola, non le dice guardati i brufoli sul naso,  ma va a chiamare la capobanda di un branco di bulli che terrorizza gli adolescenti della cittadina. Periferia, di quelle esistenziali di cui parla il papa, disoccupazione, povertà, solitudine, assenza di Stato, volontari che sopperiscono come possono, e droga, tanta droga. 

La stessa che ha portato in comunità la mamma di Gianna (il padre è andato via di casa quando era appena nata), la stessa che sicuramente già fuma lei, e che le serve per evadere da una realtà che l’ha ripudiata, fin da bambina. Che le dà la forza di picchiare, di essere spavalda e prepotente, come i maschi, come i delinquenti che si fanno valere, come i ragazzi di camorra e mafia cui ci abituano le cronache del meridione. 



Le femmine in genere fanno il palo, sono omertose, fingono, coprono. Gianna invece è in prima fila, vuol farsi temere e ci riesce. Pare che abbiano una paura matta di lei, ragazzi e ragazze. Pavidi, sciocchi, complici, colpevoli tutti. Perché mentre la vendicatrice stendeva la dodicenne, almeno una dozzina di spettatori guardava, ridacchiava, stava impassibile ad assistere; e sapevano di essere sulla scena (di un film? di un videogioco?) perché la mandante nel frattempo filmava il tutto col telefonino della furia, per immortalare il gesto, per farlo girare, a  futura memoria, a scopo intimidatorio contro altri possibili sgarbi. 

Nessuno ha voluto chiamare un adulto, non dico le forze dell’ordine. Che bel senso della giustizia imparano a scuola, tutti ‘sti giovani studenti a sbafo, che bella coscienza viene educata nelle loro famiglie, che sopita o marcia generosità, perché non uno osasse alzare la voce, rischiare, correre a domandare aiuto, denunciare. 

Anzi, da un bar all’altro, rincorsi dai cronisti, i ragazzini del quartiere di Sestri dove si è consumato il fattaccio continuano a tacere. Probabilmente invitati da adulti assenti o troppo premurosi (a volte gli effetti sono gli stessi) a non immischiarsi, non conviene mai.

E Gianna, Gianna senza famiglia, Gianna che è sempre scappata,  Gianna che dovrebbe essere seguita dai servizi sociali, Gianna che non va a scuola, Gianna che deve già provare a impararsi un mestiere, Gianna che ha già sulle spalle denunce e atti aggressivi, come l’ha presa? 

Se ne frega, chiede solo indietro il suo cellulare. E’ l’unica cosa “sua”, che le permette di essere qualcuno, di farlo sapere e di gestire il suo piccolo mondo, dove almeno conta qualcosa, può sentirsi temuta, se non amata, dal momento che nessuno l’ha amata. Io la prenderei a sberle, Gianna, e poi la abbraccerei, sperando di farla piangere, a dirotto, che piangere fa bene, purifica, dà la coscienza di essere fragili e bisognosi. Poi la porterei tenendola per un orecchio a casa di Viola e farei chiedere scusa, ma forse non ce ne sarebbe bisogno, lo farebbe da sola, davanti ad adulti fermi, sicuri, cui potersi appoggiare, da temere, cui voler bene. E la porterei via, in una città dove nessuno la conosce, dove poterla accogliere, in una casa che si comandi, dove possa ricominciare. Perché si ha diritto sempre, a ricominciare, figurarsi a 15 anni.