Ieri, con la Bolla d’indizione Misericordiae Vultus, è stato indetto a san Pietro il giubileo straordinario della Misericordia. Ho scritto “ieri” nonostante il papa abbia promulgato l’editto nella serata di sabato perché non bisogna dimenticare che per la Chiesa la domenica inizia il sabato sera. E ieri era domenica e non una domenica qualsiasi: era, come chiese Gesù a santa Faustina Kowalska il 22 febbraio 1931,  la domenica della Divina Misericordia. 



Il giubileo della Misericordia vivrà uno dei suoi momenti più alti durante la Gmg del 2016, a Cracovia, città della Kowalska e di Karol Wojtyla. Lì ora c’è il Santuario della Divina Misericordia, inaugurato da san Giovanni Paolo II nel suo ultimo viaggio in patria, quello del 2002. Durante quella solenne funzione il papa di allora fece riferimento a una pagina del Diario di quell’umilissima suora nella quale si trovano queste parole di Gesù: “Amo la Polonia in maniera particolare e, se ubbidirà al mio volere, l’innalzerò in potenza e santità. Da essa uscirà la scintilla che preparerà il mondo alla mia ultima venuta”. 



San Giovanni Paolo II nell’omelia disse: “Oggi, in questo Santuario, voglio solennemente affidare il mondo alla Divina Misericordia. Lo faccio con il desiderio ardente che il messaggio dell’amore misericordioso di Dio, qui proclamato mediante santa Faustina, giunga a tutti gli abitanti della terra e ne riempia i cuori di speranza. Tale messaggio si diffonda da questo luogo nell’intera nostra amata Patria e nel mondo. Si compia la salda promessa del Signore Gesù: da qui deve uscire ‘la scintilla che preparerà il mondo alla sua ultima venuta’”. Così, con la citazione esplicita del Diario, egli distoglieva l’attenzione dalla sua persona — perché tutti, quando leggevano quelle parole, pensavano che il soggetto fosse il Papa polacco — ma dall’altra, inserendo la citazione in modo esplicito nella sua omelia, attribuiva alle parole riportate dal Diario un rango diverso da quello della semplice “rivelazione privata”: diventavano parole di un Pontefice. 



Contraddicendo tutti quelli che vogliono contrapporre Giovanni Paolo II all’attuale vescovo di Roma, non solo Papa Francesco ha incastonato nel proprio pontificato una anno santo della Divina Misericordia — cioè di quello che è stato “il tema” del pontificato di Karol Wojtyla — ma l’ha imperniato sul santuario della Divina Misericordia di Cracovia e ha nominato protettori di quella Gmg Wojtyla e Kowalska, la santa che il Papa polacco non solo ha beatificato e canonizzato ma, prima ancora, ha disincagliato dalla condanna con cui il Sant’Uffizio aveva colpito se non lei, per lo meno la sua dottrina. 

Non tutti sanno, infatti, che l’enorme “sì” che la chiesa sta dicendo alla Divina Misericordia, è stato preceduto da un “no” grande: un “no” pronunciato ai massimi livelli. Il 28 novembre 1958 quella che è l’attuale Congregazione per la Dottrina della Fede emanava una Decreto in cui stabiliva: “1) doversi proibire la diffusione delle immagini e degli scritti che presentano la devozione della Divina Misericordia nelle forme proposte da suor Faustina; 2) essere demandata alla prudenza dei vescovi il compito di rimuovere le predette immagini che eventualmente fossero già esposte al culto”. Tale proibizione venne ritirata il 15 aprile 1978 — cioè pochi mesi prima che il pontificato di Giovanni Paolo II iniziasse — “tenuti presenti i molti documenti originali non conosciuti nel 1959, considerate le circostanze profondamente mutate e tenuto conto del parere di molti ordinari polacchi”. Insomma, una specie di: “ci siamo sbagliati perché le traduzioni del Diario che avevamo erano poco fedeli all’originale”.

Tutti gli storici sanno che Karol Wojtyla, allora cardinale e arcivescovo di Cracovia, fu in primissimo piano nel difendere la suora di cui voleva promuovere la causa di beatificazione. Quando nel 2002 durante il suo ultimo viaggio in patria consacrò il santuario, Giovanni Paolo II, improvvisando, disse: «Qui passavo ogni giorno andando a casa dal lavoro alla Solvay e avendo ai piedi un paio di zoccoli. Mai avrebbe immaginato quel ragazzo con gli zoccoli che un giorno avrebbe consacrato la basilica della Divina Misericordia nel luogo dove tante volte aveva sostato in preghiera». 

Rileggo quanto ho scritto finora e lo trovo un po’ tortuoso, un po’ faticoso. Me ne dispiaccio ma, a volte, “fatica” è il nome con cui si aderisce alla vita. Avrei potuto scrivere che Faustina Kowalska è la scrittrice polacca più letta al mondo, e avrei detto il vero perché la sua opera, che si chiama Diario, ha venduto milioni di copie ed è stato tradotto in 30 lingue. Avrei potuto aggiungere che lei di questo non ha mai saputo nulla perché, morta nel 1938 a 33 anni, dava le sue pagine solo al suo direttore spirituale — don Michele Sopocko — che le ha divulgate dopo la sua morte e che per questo ha passato “i guai suoi”, anche se adesso la Chiesa lo ha proclamato beato. 

Avrei detto il vero ma non avrei detto la verità, perché amare la Chiesa significa a volte anche parlare dell’attrito che i santi provano standoci dentro. Qualcuno ha detto che a volte la Chiesa perseguita i santi che poi canonizza. È una frase ad effetto che non è vera, perché la Chiesa non procede per dialettica. Siamo noi uomini che, per capire il misterioso corso della storia, ci innamoriamo di tesi, antitesi e sintesi. La Chiesa è fatta dagli uomini e da Dio, e uomini sono sia i santi che “i meno santi”. Certo è che i santi — quelli come san Francesco, come santa Faustina, come san Sopocko — non sono mai usciti dalla chiesa anche quando sembrava che nella Chiesa Dio si vedesse un po’ meno. I santi non hanno cercato né la rivoluzione né la fuga in avanti: hanno lavorato pieni di speranza fiduciosamente abbandonati tra le braccia della Madre della Speranza.

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