Durante una delle ormai centinaia di traversate che portano sulle nostre coste migranti in fuga dall’Africa alla ricerca di pace e lavoro, su un gommone, partito il 14 aprile dalla Libia, una quindicina di musulmani di nazionalità ivoriana, senegalese, maliana e della Guinea Bissau ha gettato in mare dodici migranti per il solo fatto che erano cristiani. Altri migranti cristiani, nigeriani e ghanesi, sono sopravvissuti resistendo con forza benché in minoranza, formando anche una catena umana, e sono riusciti a raggiungere le coste siciliane. A Palermo hanno raccontato sconvolti il fatto alla polizia, che ha rintracciato quindici migranti, accusandoli di omicidio plurimo aggravato dall’odio religioso. 



Il fatto, sconvolgente, si immette nella scia di tanti altri fatti del genere, la cui crescente crudeltà ci raccontano le cronache di questi giorni, col rischio addirittura dell’assuefazione e dell’indifferenza e ricorda, ad esempio, la scelta scientifica fatta dai miliziani del gruppo islamico jihadista al Shebaab nel campus universitario di Garissa in Kenia, dove sono stati selezionati e sterminati centinaia di studenti cristiani, e lasciati vivere liberi invece i musulmani. Si tratta, semplicemente, di pulizia etnica anticristiana, che procede in molte parti del mondo, fino alla Sicilia, in modo esponenziale e brutale.



In questo episodio particolare, riguardante un gommone di migranti simile a migliaia d’altri, i casi sono due. La prima ipotesi è che le persone imbarcate fossero effettivamente migranti “normali”, cioè tutte persone che, come siamo generalmente propensi a pensare, fuggono da situazioni di povertà o da conflitti per cercare una vita migliore in Italia e in Europa. Ora, una quindicina di questi migranti “normali” non ha avuto nessuna crisi di coscienza a girare per Palermo pur avendo appena compiuta un’azione di sanguinaria e disumana efferatezza come quella di costringere all’affogamento dodici essere umani, solo perché cristiani. Nessun rimorso, nessuna pietà, nessun ripensamento. Se sono stati arrestati lo si deve solo alla denuncia dei cristiani superstiti. 



Questo significherebbe che in molte nazioni a maggioranza musulmana si è ormai largamente diffusa una mentalità razzista che considera i cristiani esseri inferiori, neppure meritevoli di vivere durante una traversata profumatamente pagata chissà con quali sacrifici economici. Niente di diverso da ciò che accadde nella Germania nazista. È la “banalità del male” così come l’ha efficacemente battezzata Hannah Arendt: un disprezzo, un razzismo delle persone comuni, instillato con un’imponente propaganda di cui evidentemente conosciamo solo un frammento, che attraversa queste società. Lo stesso effetto straniante e d’orrore che coglie il visitatore di oggi quando si reca a Dachau, ridente cittadina bavarese, e viene informato che gli abitanti facevano affari con il lager e guadagnavano di che vivere “onestamente” grazie agli orrori che là dentro si perpetravano.

Se così è, che sia giusto sterminare i cristiani fa parte ormai di una cultura generale che riguarda moltissimi musulmani, anche quelli che rischiano la traversata del Mediterraneo per venire a cercare fortuna e benessere da noi. L’islam moderato batta un colpo, ammesso che ci sia.

La seconda ipotesi è, invece, che i quindici assassini del gommone siano effettivamente dei terroristi integralisti, modello miliziani dell’Isis. Se ci ripugna pensare che la maggioranza dei musulmani è razzista, dobbiamo ammettere questa seconda possibilità. È più difficile, ma può essere. In questo caso la conseguenza da trarre è più lineare: stanno arrivando. Se solo in quel gommone ce n’erano una quindicina, chissà in tutti gli altri. Chissà quanti cristiani sono stati assassinati così. Chissà quanti miliziani stanno scorrazzando per le strade di Palermo, Roma, Milano, Torino. Se dunque questa ipotesi è quella giusta, cosa aspettiamo a dare un’occhiata a chi sta sbarcando in questi giorni?