Una chiesa, per l’occasione, tanto simile ad un «ospedale da campo dopo una battaglia»: l’immagine, com’è ovvio, è di Francesco, il Papa che ha fatto della periferia e della strada il suo salotto. E lui, Jian Qing Zhanh, cinese di trent’anni, come uno di quei feriti ai quali, prima della diagnosi, è stata salvata la pelle, annunciata la salvezza: Dio ti sta cercando, non te lo perdere altrimenti sei perduto.
Seppur giovane, arreca le cicatrici di tante ferite, subite e procurate: «Ho iniziato ad entrare in carcere giovanissimo, quando avevo appena compiuto diciotto anni». Quasi metà della vita passata dietro il ferro e il cemento delle patrie galere d’Italia, con un po’ di anni ancora sulla groppa: «Ora sto scontando un cumulo di 25 anni». Una storia di appostamenti, di conti da regolare, di bande alle quali appartenere.
Di agguati di tutt’altra specie. Dell’agguato più feroce, per l’appunto, quello che il Cielo era in procinto di servire. Sabato scorso, per le mani del vescovo di Padova, Jiang Qing è diventato cristiano: sembra che anche per uomini d’armi e di guerra sia cosa assai ardita e rischiosa guerreggiare con Dio. Figurarsi mercanteggiare. Anche se quel Dio è un qualcuno che prima nemmeno sapevi chi fosse: «Non sapevo nemmeno chi fosse quest’uomo che tanti chiamavano Gesù Cristo». Non conoscerlo direttamente, ma per interposta persona: «Lavorando (presso la Cooperativa Giotto, ndr) vedevo la gratuità della gente e mi chiedevo: “che cosa ci guadagnano a fare tutto questo?”». Il guadagno era una Presenza, quella di Cristo per l’appunto.
Che anche stavolta, come nei Vangeli, rimane fedele al suo vecchio brogliaccio: a Lui s’arriva sempre perché qualcuno t’ha incantato parlandoti di Lui. Di un uomo che sovente diceva: «Venite e vedrete». Jiang Qing è andato e ha visto: «Frequentando le catechesi e la scuola di comunità, ho avuto la possibilità di scoprire chi fosse Gesù Cristo». E siccome dopo quell’incontro la storia non è più quella di prima – i Magi fecero ritorno a casa «per un’altra strada» – nemmeno il nome sarà più solo quello di un tempo: Jiang Qing si è scelto il nome Agostino.
Mica un nome e una storia a caso: proprio colui che, dottore della Chiesa, ebbe l’ardire di definire “fertile” la colpa. Il peccato come occasione di grazia, la colpa come ferita attraverso la quale scorgere la misericordia del Cielo. Ferite che diventano feritoie: la debolezza umana che diventa giaciglio della forza del Cielo.
Una scoperta ardita e ardimentosa, insomma: quella di Gesù di Nazareth. Una quasi annunciazione fatta tra ricette di panettoni e biciclette da assemblare, tra valigie da comporre e chiamate da smistare e appuntarsi: Cristo chiama sempre nel daffare del quotidiano, cosicché nessun gesto possa da alcuno considerarsi inutile.
Sopratutto nel deserto delle galere: certi istanti sono carichi come un fucile. Sono gli istanti di Dio, il lavoro della grazia dentro il lavoro dell’umano: «Il lavoro è stato per me fondamentale, lo strumento che mi ha permesso di riconoscere il valore della vita e di maturare la mia personalità».
Il lavoro come appostamento dietro il quale se ne stava imboscato Dio, a spiare gli attimi e le gesta di chi, tempo pochi anni, sarebbe diventato un suo testimone, nello stesso posto dov’era iniziata l’avventura: «Battezzandomi, potrà crescere ancor di più la mia fede in Cristo». Punto e a capo. In carcere ci si addormenta con mille domande e altrettante paure: del buio, di se stessi, degli uomini e forse anche di Dio.
Ogni tanto capita che ci si svegli con qualche risposta, o qualche cenno di risposta. Certe risposte, poi, cambiano la destinazione d’uso pure del nome, tanto sono travolgenti: non ti chiamerai più Jiang Qing ma Agostino. Nel nome giace oggi un progetto e un sospetto: che non ci sia gioia più grande che sapersi peccatori. Peccatori che scoprono d’essere nel mirino dello sguardo di Dio.
(Don Marco Pozza)