Un giorno che si ripete ancora, dopo duemila anni: ormai si dovrebbe essere abituati a questo giorno, eppure non è così! Ogni volta che arriva, se trovassi l’abitudine a fare il conto di quello che ero, di quello che avevo prima e di tutto quello che invece sono oggi, forse non sarebbe un ripetersi di una tradizione o semplicemente di una festa, ma prenderebbe un verso più logico, più storico, un “fatto” realmente vissuto da altri e che ancora oggi abbiamo la possibilità di viverlo anche noi.



L’anno passato non è stato lo stesso di oggi, non solo perché ho un anno in più, ma semplicemente perché gli “incontri” (perché gira sempre tutto intorno a questa semplice parola incontro), quelli di quest’ultimo anno, hanno segnato diversamente il mio percorso, la mia strada. A differenza delle Pasque già trascorse, che erano per la maggior parte solitarie, oggi ho trovato delle persone che senza chiedere nulla in cambio sono sempre pronte a sorreggerti con un sorriso, con una bella e confortante parola capace di metterti gioia, che ti da quella sicurezza che niente e nessuno può offrirti.



Il bello è che ho incontrato queste persone in carcere, che dovrebbe essere un luogo squallido e già il nome lo è. Infatti non riesco più a chiamarlo carcere, mi viene più facile chiamarlo istituto ed è strano come un nome comune possa dare un senso diverso ad un luogo che pur sempre rimane sofferente.

Da un anno lavoro presso il call-center dell’istituto, un progetto portato avanti da una cooperativa sociale, formata da persone che dopo che hai scoperto quello che ti vogliono offrire, ti viene subito da chiederti “ma il trucco dov’è?”. Il trucco c’è, ma non è quello che ogni essere umano da subito può intendere, è un altro tipo di trucco, quello che riesce a disarmare chiunque ne venga in contatto. È un rapporto tra persone, tra dignità conosciute e riconosciute, dove ti insegnano senza spiegare che tutti siamo diversi e nessuno è diverso, nessuno non vale niente, anzi, dove riesci a riconoscere che nonostante tutto, anche tu hai un valore grandissimo, anche essendo l’ultimo. 



In questo luogo “magico” ho avuto la fortuna di conoscere il vero significato dell’amicizia, quella dove l’unico interesse è quello di esserci nel momento in cui ne hai bisogno. Ho incontrato Zhang, un cinese anomalo avrei detto fino a poco tempo fa, anomalo perché tra una settimana riceverà i sacramenti del Battesimo, Prima Comunione e Cresima. Prenderà il nome di Agostino e subito ti chiedi: un cinese che si chiama Agostino? È proprio vero, i nomi delle cose e delle persone danno un senso diverso a tutto. In questo periodo stiamo organizzando la sua cerimonia, riesco a vedere la sua emozione esplodergli da ogni parte del suo essere. 

Ho conosciuto Djnia, un albanese con un cuore ricco d’amore, che nonostante le difficoltà che sta affrontando non smette mai di augurarmi che presto potrò avere la gioia di trascorrere un po’ di tempo con la mia famiglia. Lui è davvero strano, un musulmano convertito al cristianesimo con un cuore buono: dico questo perché alla fine il suo cuore è sempre stato questo, anche tempo prima. Gli sono molto legato perché è molto bello aspettarlo il martedì per prendere il caffè insieme e fumarci un sigaretta, ridendo.

Poi c’è Michele, un tipo gagliardo, è molto bravo, anche se rompe un po’ le scatole con il lavoro — ma anche questo fa parte dell’educazione al lavoro —, ha la capacità di gestire tutte le attività del call-center che svolgiamo con molta professionalità e da lui ho la fortuna di poter imparare molto del mondo del lavoro. Mi vuole molto bene e credo di essere uno dei suoi preferiti, spesso mi dice che non riesce a vedermi come tanti che occupano questo luogo. Mi ripete sempre che il mio viso è pulito, lo capisco molto bene, lui viene da una realtà diversa, la sua vita è sempre girata intorno al lavoro, e come tanti crede che le persone come me abbiano anche il viso di mostri. A lui chiedo spesso consigli e in cambio cerco di dargli le soddisfazioni che si aspetta da me, in più gli racconto un po’ della vita vista con altri occhi, perché alla fine per vivere c’è bisogno di conoscere anche l’altra faccia della medaglia: esiste e bisogna conoscerla per essere migliori di quello che siamo. Lui è alto un metro e cinquanta, (lo so dovrei dire basso, ma voglio essere gentile!), ma è alto di umanità!

Poi ho conosciuto Mirko… che rompiscatole, un ragazzo cresciuto per strada, con un destino che gli ha giocato un sacco di colpi bassi, segnato da tanti momenti rubati dal tempo, ma con un sorriso sempre pronto. Credevo di essere uno delle poche persone che riesce a svegliarsi in un luogo simile ogni giorno con il sorriso sulle labbra, lui ha distorto tutti i miei target! Lui mi manca tantissimo, è l’amico con cui ogni giorno facevo le mie pause, perché era il maestro delle pause: è stata la prima cosa che ha imparato del lavoro! Comunque è come un mio fratello minore, con lui ho cercato di essere un esempio da evitare, non ho mai raccontato a nessuno del mio passato, con lui l’ho fatto, mi sentivo in dovere di farlo, volevo che non permettesse più al tempo di rubargli la speranza, i sogni, il futuro… Quando partecipavamo ai pranzi con gli ospiti che venivano a farci visita, tante volte raccontava che adesso conosceva entrambe le strade, e sperava di farcela. Mi sentivo morire ogni volta che pronunciava quelle parole, avevo sempre paura che il tempo a mia disposizione fosse poco per fargli capire che lui già ce l’aveva fatta, doveva solo trovare più fiducia in se stesso. 

Venerdì scorso è finalmente uscito, lui piangeva, io gli ho sorriso, gli ho sorriso perché volevo che di me si portasse fuori quello. Sorridevo perché ho avuto la fortuna di incontrare anche lui lungo la mia strada, sorridevo perché pensavo alla gioia che provava Anna, sua moglie, nel riavere suo marito, suo perché sono certo che da venerdì in poi sarà suo. Mi manca da morire, da giorni pranzare nella nostra mensa non è più uguale, prendere il caffè è diverso, stare seduto al suo posto in ufficio è strano, ma era un suo sogno. Ho lavorato tanto proprio per fargli capire che potevo imparare il lavoro che richiede quel posto, ma anche che bisogna credere che c’è Qualcosa o Qualcuno che ci sorride e ci mostra la strada da percorrere. Sono preoccupato per lui, per le difficoltà che avrà nel mondo, perché adesso è consapevole che anche lui è parte di questa vita, ma so che non sarà più solo, io ci sarò sempre, è una parte del mio cuore e oltre a me c’è quella “cosa” che ha imparato a coltivare nel suo cuore che non lo lascerà mai più! Mi manca da morire, ma adesso so che c’è anche lui.

Dimenticavo, mi chiamo Guido, il mio sogno? Stare seduto in riva al mare con mia moglie, guardare il mare e raccontarle che io ho assistito alla resurrezione di tutte queste persone, compresa la mia!

Vi sembrerà strano, ma siamo tutti detenuti, anzi uomini risorti che augurano di trascorrere una Santa Pasqua a tutti voi, soprattutto a chi si è sentito in dovere di farci partecipi del “tutto” che ha ricevuto nella propria vita.

Guido