Dolore. Ma ancora una volta protesta mischiata a voglia che tutto torni come prima. Una parola ha aleggiato in questi giorni e per tutta la notte in cui una lunga fiaccolata ha ricordato il terremoto dell’Aquila. A sei anni dalla tragedia che causò più di 300 morti. La parola è “Fatto”. “Il fatto non sussiste” era scritto su degli striscioni ma anche su shirt fatte per l’occasione. Il richiamo alla sentenza di assoluzione sulla commissione Grandi rischi è stato una sorta di ritornello. “Per noi sarà un momento di ferma richiesta di verità e giustizia per tutto quello che è accaduto prima e dopo del sisma. Sfilare silenziosamente, rendendo al contempo visibile ed esplicita l’indignazione di un’intera città, sarà il modo migliore per onorare la memoria delle nostre vittime. Una comunità che non si rassegna ‘al fatto non sussiste’ e che pretende giustizia”. Quale giustizia per un evento naturale. Quali parole più o meno rassicuranti avrebbero cambiato il destino?
Il giorno prima del terremoto, il 5 aprile 2009, era la domenica delle palme. La notte della fiaccolata ha invece introdotto alla Pasqua. E proprio ieri le parole dell’omelia di un prete aquilano, don Luigi Maria Epicoco riportavano alla parola “Fatto”. “Come si reagisce davanti a un fatto? Lo si accetta. Un antico adagio così diceva: ‘Contro i fatti non valgono gli argomenti’. Eppure il ‘fatto’ della resurrezione di Cristo scatena immediatamente una campagna mediatica per mistificarne la portata”.
Difficile prendere la vita nella sua quotidianità. E proprio don Gigi il terremoto dopo sei anni lo ricorda così. “Ricordare significa riportare al cuore. In questo senso non posso non ricordare. Non voglio liberarmi di questo dolore, dovrei liberarmi della vita stessa. Accetto di vivere sapendo che una parte di me rimarrà ferma lì. Quella notte ho scoperto di essere fragile. Ho scoperto di essere solo un uomo. Non sono riuscito a salvare la vita di nessuno di quelli a cui volevo bene. Ho chiesto mille volte scusa per essere sopravvissuto. Ho capito che l’unico perdono che potevo ricevere era quello di vivere meglio di come avevo vissuto fino ad allora. Vivere in maniera più autentica. Più umana”.
E questa è la risposta migliore dopo sei anni. Al di là della rabbia, della protesta, delle speranze. Di tutto quanto. Poi se andiamo a vedere cosa è successo in questi sei anni il bicchiere resta mezzo pieno o mezzo vuoto. A seconda dei punti di vista. Il 90 per cento della periferia ha ripreso vitalità, il centro storico rimane ancora indietro. Nonostante i soldi dallo Stato centrale siano arrivati. Una sorta di imbuto che rallenta, a volte blocca. Mancanza di personale negli uffici per sbrigare le pratiche, lamenta il sindaco dell’Aquila Massimo Cialente. Richiama il Governo, quel Matteo Renzi che ha sempre promesso ma che all’Aquila non si è fatto vedere. A differenza dei suoi predecessori.
Ma adesso c’è il nuovo ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Graziano Delrio. Lui sì che promette. “L’Aquila ce la farà, assolutamente, anzi la ricostruzione sta andando molto bene — ha detto dopo il suo insediamento —. L’Aquila ha molte risorse a disposizione che abbiamo stanziato come Governo. Sia io che il presidente del Consiglio siamo abituati a fare i sindaci, quindi a vedere fisicamente le cose. Credo che L’Aquila attenda la visita del presidente del Consiglio, che sicuramente la metterà in cantiere. Anche io non mancherò di far sentire la vicinanza del Governo all’opera di ricostruzione della città”.
E sulla sua pagina Facebook anche Renzi risponde alle critiche per non essersi mai fatto vedere. “L’Aquila, sei anni dopo. Innanzitutto un pensiero alle 309 vittime, alla loro memoria, ai loro cari. Il compito della Politica però non è solo la giusta e dovuta commemorazione ma dare risposte a lungo attese”. Un messaggio trasversale a Cialente. “Dopo troppe promesse, siamo finalmente passati all’azione. I soldi adesso ci sono”. Il premier ha assicurato di fare tutto ciò che è possibile perché l’Aquila torni a vivere. Dopo “troppe promesse” ha scritto Renzi “siamo finalmente passati all’azione. I soldi adesso ci sono: spenderli bene è un dovere in memoria di chi è morto, ma anche come segno di rispetto per i sopravvissuti che vogliono ancora credere nella cosa pubblica”.
La vicinanza riporta a un fatto. Che nessuno dimentica. La solidarietà di migliaia di persone accorse all’Aquila, di persone che dopo un fatto si sono tirate su le maniche e hanno guardato la realtà, affrontandola e vivendola.