“Una bimbetta mi girava intorno, non aveva nulla in mano, si è infilata nel campo dall’erba alta e si è ripresentata con un mazzetto di fiori”. Mentre intervistavo il cardinale Fernando Filoni, inviato personale di Papa Francesco nel nord Iraq durante la Settimana Santa, se ne è uscito così. Con una di quelle schegge di memoria che si conficcano nel cuore e non permettono di respirare. Raccontando delle sofferenze dei profughi cristiani e non, nei campi profughi intorno ad Erbil e Qaraqoush, parlava ancora incantato dei sorrisi dei piccoli, del loro correre spensierato, dei giochi improvvisati accanto ai materassi spalmati per terra, ai fornellini di fortuna dove le mamme dagli occhi tristi si affaccendano prima di allattare i neonati, agli adulti persi in una realtà che non gli appartiene.



I bambini sono inconsapevoli, la fuga è sembrata un’avventura, la novità delle tende e del viaggio hanno fatto galoppare la fantasia. Eppure hanno visto le lacrime degli anziani, le grida di disperazione delle sorelle più grandi, l’angoscia dei padri, lo sguardo muto delle madri. Ma i piccoli sono così: basta avere accanto la gonna della mamma o la mano del papà per sentirsi al sicuro, per guardare con spavalderia al futuro incerto. I bambini sono speranza.



Eppure troppi vivono “storie di passione”. Papa Francesco ne ha parlato ieri all’udienza generale, nella sua catechesi ancora una volta dedicata alla famiglia e al dono più grande, i figli. Forse pensava ai bambini del campo palestinese di Yarmouk, alla periferia di Damasco, o ai tanti profughi in corsa verso la salvezza, o a quelli che nascono sui barconi, negli slum di lamiera e putridume, nei deserti di dignità e compassione. Bambini rifiutati, abbandonati, “derubati della loro infanzia”, che qualcuno arriva a definire “errori”, vite sprecate che sarebbe meglio non fossero mai nate. Francesco no, non fa sconti alle coscienze abituate alle contorsioni pur di “non vedere”. Ha gridato che i bambini non sono mai “errori”.



Qualcosa da imparare, anche nel linguaggio comune con cui a volte, frettolosamente, si giudicano situazioni e gravidanze indesiderate. Non ci sono errori quando c’è di mezzo la vita. Anche la sofferenza, la fame, la sete, la povertà che subiscono a volte i minori in molte zone del mondo, non sono errori ma conseguenze, spesso di scelte crudelmente feroci fatte da adulti.

Esistenze che gridano a Dio, che accusano un sistema costruito dagli uomini dimenticando la pietà. Intere generazioni violate nel corpo e nell’anima, denuncia il Papa, dimenticate dagli uomini ma non dal Padre, che raccoglie le lacrime dei piccoli, preziose ai suoi occhi. 

Francesco ha ricordato il passo evangelico, quel “lasciate che i bambini vengano a me” che ha consolato più di una madre e intenerito nei secoli i credenti. Ma per ricordare che deve diventare storia quotidiana, possibilità reale e concretissima per tutti i più piccoli. Anche quelli cresciuti in nidi sicuri, tra agi e indifferenza, vittime, ha detto Bergoglio, di una cultura dei diritti esasperati, di unioni immature e separazioni irresponsabili, ragazzini costretti ad assorbire una violenza diversa da quella cieca dell’Isis, difficile da smaltire.

Con i bambini non si scherza, ha gridato Papa Francesco. Anche perché, ha aggiunto, il Signore giudica la nostra vita ascoltando quello che gli riferiscono gli angeli dei bambini, quelli che “vedono sempre il volto del Padre che è nei cieli”. La domanda di Bergoglio deve diventare la nostra: “che cosa racconteranno a Dio, di noi, gli angeli dei bambini di Yarmouk, Qaraqoush, Mosul?”.

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