Ora che l’Expo ha aperto le porte, il partito del tafazzismo che vorrebbe rappresentare un paese incapace si è riunito in sessione plenaria, sull’Aventino, per cambiare la strategia: i numeri. Tornano e non tornano? Quanta gente e da dove arriverà, se arriverà. L’altra sera alle 19, in un giorno che precede il weekend, i cancelli di Rho Pero segnavano un discreto flusso di gente (da quell’ora si entra solo con 5 euro) che dava l’impressione di gente che andava a curiosare, prendendo le misure. Ma nella stessa ora, il Mercato Metropolitano che è stato inaugurato di fianco la stazione di Porta Genova vedeva un buon flusso di gente, per occupare quello che è diventato un nuovo luogo a Milano, più informale, improntato sullo street food, ma anche sul benessere della frutta e verdura o del pane fatto con lievito madre e venduto a ore (più passa il tempo e più cala il prezzo del pane venduto. Ma non la qualità, perché il pane vero è sempre buono).



Il Molino Quaglia di Vighizzolo d’Este ha allestito qui una panetteria vera e propria, Mama Petra, mentre l’Unione nazionale dei produttori ortofrutticoli ha centrato il tema che i colori dei cibi hanno una forza nutriente tutta da riscoprire, all’insegna di “Nutritevi coi cinque colori della vita”. Intanto ad Expo, nella cascina Triulza il Grana Padano ha allestito un caseificio vero e proprio, dove si vede nascere quel formaggio che i monaci benedettini codificarono mill’anni or sono. In questo mese di maggio Milano non è mai stata così viva e la sensazione è che la gente esca volentieri fuori casa, sotto la spinta di una maggiore fiducia rispetto agli anni passati. Ecco perché era importante la riuscita. Chi ne beneficerà? Tutti, anche chi si sente defraudato da una concorrenza che poi non c’è. Però c’è una condizione perché il beneficio arrivi davvero: il lavoro. Nulla è automatico, men che meno nel campo del food dove vince la credibilità.



A Milano, e torniamo al fuori Expo, hanno aperto centinaia di locali nel segno del “senza saper ne leggere ne scrivere…” piazziamo un punto vendita. Ma chi vincerà, o meglio chi resisterà? Non il locale di moda e nemmeno il luogo tutto design e niente sostanza nel bicchiere e nel piatto. Due locali a Milano mi hanno impressionato in questo senso. Uno si trova in quella via Cappellini che sbuca in via Pisani, di fronte alla stazione Centrale. E’ il Papillarium di Amati al numero 21 tel. 02 66712030, il concept che vuole insegnare a mangiare bene avendo cura di sè. Hanno riscoperto il grano monococco (fantastico), il salmone coi grani di goji, il pollo con le spezie orientali e lo yogurt di capra, la curcuma e la quinoa integrale fino alla sacher di noci.



Ogni giorno una novità che poi diventa piatto take awaj da asporto o da consumare sul luogo. Questo luogo nasce da un lavoro e si vede. Ebbene sapete qual è la cosa che più mi ha colpito a neanche un mese dall’apertura: che la gente ritorna, sempre più fedele e numerosa, perché quando scopre che anche il caffè è un’altro mondo così come un centrifugato di frutta (sono buonissimi), il resto diventa banale.

L’altro locale a Milano si chiama la Griglia di Varrone (via Tocqueville, 7 tel. 02 3698388), ed è dedicato alla carne. Qui assaggi la carne di ogni parte del mondo, ma i prodotti, dalle uova di Paolo Parisi al vino (hanno persino il Grignolino della tenuta Migliavacca, un biodinamico della prima ora che non conosce nessuno) sono selezionatissimi. E’ tutto frutto di un lavoro di conoscenza e proposta. L’Expo è lo stesso. E’ stato un lavoro il Padiglione Zero ideato da Davide Rampello e difatti è una delle cose più interessanti da visitare e che fa meditare. Ma anche il tanto vituperato Padiglione Italia, se visitate la mostra sulle quattro potenze dell’Italia (saper fare, bellezza, limite e futuro), vi farà uscire con la coscienza che siamo un grande Paese. Siamo un grande paese, dove chi pensa di vivere di rendita (all’Expo incominciano a lamentarsi quelli che hanno visite modeste, dicendo che non c’è segnaletica) ha l’occasione di capire cosa significa un lavoro. Brindo a questo momento dalle stanze total white del Padiglione del Vino, che dal cardo guarda l’Albero della Vita: un altra rappresentazione da visitare. Come si merita il vino italiano, spesso ridotto a folklore. Una volta tanto, diciamolo, non ha prevalso la salamella, ma un’idea positiva di lavoro.

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