Erano pronti a uccidere il magistrato della Direzione Distrettuale Antimafia di Caltanissetta, Gabriele Paci e a sterminare la sua famiglia. Il progetto dei boss di Cosa Nostra era già pronto, l’ordine era partito dal carcere. A volerlo morto un boss di Gela, Roberto Di Stefano, 48 anni, della cosca Rinzivillo. A rivelare le intenzioni del boss, un collaboratore di giustizia di Brancaccio, un quartiere di Palermo. Era stato il pm Paci, infatti, a scoprire che Di Stefano era un falso pentito, al punto che – secondo l’accusa – aveva riorganizzato la cosca ed era pronto a iniziare una guerra di mafia, approfittando del suo ruolo di collaboratore. Paci lo fece arrestare a giugno scorso. Le rivelazioni del collaboratore di Brancaccio si sono rivelate veritiere, dopo le opportune indagini svolte dai magistrati catanesi, che hanno appunto la competenza sulle inchieste che riguardano i magistrati nisseni. Il pm Paci è a Caltanissetta da quasi cinque anni, prima aveva lavorato a Palermo e poi a Perugia. Si è occupato nella Procura nissena della mafia gelese e non solo: è stato anche pubblico ministero al processo della strage di via D’Amelio, nel processo Borsellino quater. Dopo le rivelazioni del collaboratore di Brancaccio è stato predisposto il divieto di sosta davanti alla sua abitazione ed è stata potenziata la scorta. La notizia è stata confermata al “Giornale di Sicilia” dal procuratore Sergio Lari: «Il collaboratore ha chiesto di parlare con la nostra Procura, lo abbiamo ascoltato e subito dopo abbiamo trasmesso gli atti con la sua dichiarazione alla Procura di Catania. Certamente – dichiara – è un fatto inquietante e che abbiamo da subito ritenuto ad altissimo rischio». (Serena Marotta) 



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