Si è conclusa tragicamente la vita di Dean Potter, il famoso alpinista, free climber e base jumper quarantatreenne, morto il 16 maggio scorso nel corso di un volo con una tuta alare. Dean si è lanciato dal promontorio Taft Point nel parco internazionale di Yosemite. Con lui c’era anche il base jumper Graham Hunt: la coppia, partita da un’altezza di 2286 metri, avrebbe tentato di volare attraverso una stretta fessura. I paracadute dei due atleti non si sarebbero però aperti, condannandoli a morte. I soccoritori hanno trovato i corpi di Potter e Hunt qualche ora dopo aver perso ogni contatto. Figlio di un ufficiale dell’esercito statunitense, Potter era nato il 14 aprile del 1972, e aveva mostrato la sua propensione verso gli sport estremi già dai tempi in cui frequentava le scuole superiori, nel New Hampshire. Aveva messo ben presto da parte gli studi che aveva intrapreso all’Università del New Hampshire per dedicarsi alla sua vera passione, quella del free climbing: da questo momento in poi saranno numerose le imprese compiute da colui che il New York Times ebbe modo di definire come “uno degli scalatori migliori della sua generazione”. Potter, infatti, completò, in solitaria, la scalata alla montagna dello Yosemite e mise alla prova la sua forza e la sua abilità anche sul granito della Patagonia, lasciandosi tentare anche dal fascino del deserto del Moab. Ancora più memorabili, poi, sembrano essere le imprese compiute senza l’ausilio della corda (Heaven, Separate Reality, The Rostrum e Astroman, tanto per citarne alcune) e le sue salite ad alta velocità: qualcuno, infatti, ricorderà che nel 1999 Potter si rese protagonista dell’eccezionale scalata ad Half Dome ed El Capitan, che il nostro portò a termine in meno di un giorno e in solitaria. Fu proprio due anni dopo che, invece, forte della compagnia di Timmy O’Neil, riuscì nell’intento di salire su tre delle vette dello Yosemite (Mt. Watkins, Half Dome e di nuovo El Capitan), stabilendo un record che riuscì a migliorare nel 2010, quando accompagnato da Sean Leary completò la sua salita in sole due ore e trentasei minuti. Come abbiamo già accennato, Potter ebbe modo di confrontarsi anche con i rilievi della Patagonia, cosa che lo portò ad arrivare in cima al Fitz Roy seguendo la via della Supercanaleta, ad approdare da solo sul Cerro Torre in poco più di dieci ore e a ritentare la via del Fitz Roy con la scalata della sua parete ovest, fatta in meno di dieci ore (9 ore e 50 minuti per l’esattezza).
La sua sete di sfida lo portò a confrontarsi anche con il BASE jump: correva l’anno 2005 quando decise infatti di tornare nuovamente in Patagonia per provare l’ebbrezza di lanciarsi dal Pilastro Est di El Mocho. Si diede nuovamente al brivido della scalata nel 2008, quando il mondo seppe della sua Deep Blue Sea e dell’arrampicata sulla parete nord dell’Eiger, che si tramutò in impresa di free base quando, da lì, Potter si lanciò, arrivando poi nella vallata sottostante con l’ausilio di un paracadute (e sprovvisto di corda). L’anno successivo la sua temerarietà lo portò ad occupare una delle pagine del prestigiosissimo National Geographic, che lo annoverò tra gli Adventurer di quell’ anno, mentre due anni dopo fu la volta del Moowalk, highline realizzata da uno dei picchi di Yosemite.
Il suo sprezzo del pericolo gli procurò delle critiche in innumerevoli occasioni: tra queste c’è senz’altro la scalata di Delicate Arch, che suscitò diverse polemiche a causa del fatto che Potter decise di optare per una salita slegata. Tuttavia, nonostante i polveroni mediatici, a Potter si può senz’altro ascrivere il merito di aver avuto una certa capacità nel veicolare la propria concezione del fare climbing, che è arrivata forte e chiara anche ai non addetti ai lavori.
Una vita fatta di sfide quella di Potter, che però si è drammaticamente interrotta sabato scorso, quando si trovava all’interno del parco di Yosemite assieme a Graham Hunt, base jumper ventinovenne. I due sono andati incontro alla morte dopo essersi lanciati da Taft Point, che ha un’altezza pari a duemilatrecento metri. Un alone di mistero avvolge la loro tragica fine, dato che, dalla ricostruzione fatta dai ranger, è risultato che né Potter né Hunt hanno aperto il paracadute prima dell’impatto con il suolo.