Che l’Italia sia da sempre un Paese strategico per il jihadismo non lo scopriamo certo oggi, dopo l’arresto in provincia di Milano di Touil Abdelmajid, il giovane marocchino che sarebbe coinvolto nell’attentato del Bardo a Tunisi. E dopo aver avuto la conferma che questi era sceso da uno di quei barconi che ogni giorno scaricano migranti sulle nostre coste. Almeno noi non lo veniamo a sapere oggi, né rimaniamo sbigottiti, visto che da più di dieci anni ormai denunciamo come l’infiltrazione dell’estremismo jihadista di stampo salafita sia ben radicata in Italia e come da qui partano molti jihadisti destinati ai teatri di guerriglia sparsi in tutto il mondo. E non ci sconvolge nemmeno la conferma del fatto che il Nordafrica, Libia in testa, sia ormai la testa di ponte per il passaggio delle “truppe” radicali verso quegli stessi teatri, visto che non da oggi siamo convinti assertori del fatto che la primavera araba altro non è stata se non l’abbattimento dei dittatori per lasciar strada al jihadismo.



Tutte cose che da sempre diciamo e scriviamo, sbeffeggiati e insultati quando non addirittura cancellati dal pubblico dibattito su questi temi; guarda caso proprio da quella élite politico-sociale buonista da salotto che fino a ieri, nonostante i media afferenti ad Isis avessero detto a chiare note che jihadisti sarebbero arrivati via mare, ancora si affannavano a dichiarare che non c’è nessuna evidenza della presenza di terroristi nei barconi. Beh certo, se questi signori pensano che il jihadista salafita dichiari la sua appartenenza ad Isis, Boko Haram o Al Qaeda appena sceso dal barcone scalzo e malnutrito, appare abbastanza chiaro come trovare questa evidenza non sia possibile. Ma voler dire a tutti i costi che sui barconi non ci sono possibili terroristi o estremisti è una forzatura vergognosa che viene puntualmente smentita dai fatti, non ultimo quello di Milano che riporta tragicamente questo personaggio, secondo quanto riscontrato dalla Polizia di Stato, all’attentato di Tunisi in cui persero la vita molti nostri connazionali.



È entrato e uscito dall’Italia, come e quando ha voluto, pur essendo destinatario di un decreto di espulsione e di un mandato di cattura internazionale emesso dalla Tunisia. Era nella “quota” che Bruxelles vorrebbe imporci, e che sicuramente ci imporrà visto che il geniale piano viene dalla profonda elucubrazione della Mogherini, quella quota di migranti che l’Europa intera, Francia e Spagna in testa, ha già rifiutato con nettezza assoluta; gli arresti di jihadisti, i morti in mare, le fughe dai centri di accoglienza e chi più ne ha più ne metta rendono chiara solo una cosa, che la migrazione di massa da quei luoghi va fermata prima di subito, stoppando le partenze in loco anche con la forza.



Lo ripeto ancora una volta: l’unica soluzione è pacificare la Libia, mettere un freno al caos che permette partenze ogni giorno più numerose. Ma la stessa velocità di esecuzione del diktat contro Gheddafi non si applica a questa circostanza, perché ai burocrati di Bruxelles, agli strateghi di Washington e agli inginocchiati esecutori europei non fa comodo fermare questo scempio. Non hanno alcun interesse nel fermare chi prima o poi colpirà e farà ancora più male che a Parigi, perché questo è l’obiettivo finale. Dunque quale stupore può esistere dinnanzi ad un jihadista fermato in Italia dopo aver presumibilmente preso parte ad uno degli attentati più sanguinosi degli ultimi anni? La volontà è lassez faire, l’incapacità regna sovrana e molti altri hanno fatto o magari faranno il tragitto da e per l’Italia dai luoghi del terrore e della morte. Magari verso quella Siria dimenticata, nella quale, passata l’attenzione dei media internazionali, Isis avanza in maniera poderosa. Mentre le poltrone dei buonisti europei restano ben salde ad un potere che ci sta precipitando in un abisso umano e culturale di cui fra qualche tempo, purtroppo, sconteremo le amare conseguenze.