Il premier Matteo Renzi ha twittato, sul profilo ufficiale, un messaggio dedicato al magistrato ucciso dalla mafia 23 anni fa, nella strage di Capaci. “Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Vito Schifani, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro #ionondimentico”, questo il tweet del capo del governo, che ha ricordato il sacrificio del magistrato, della moglie e degli uomini della scorta. Nella commemorazione ufficiale, l’attuale presidente del Senato ed ex magistrato Pietro Grasso (a sua volta obiettivo di un attentato, fallito per motivi tecnici) ha dichiarato che Falcone è sempre nel suo cuore e che il suo ricordo lo aiuta a superare i momenti difficili. 



In occasione del 23esimo anniversario dalla strage di Capaci, che portò all’uccisione del giudice Giovanni Falcone e della sua scorta, non è mancato l’intervento del leader della Lega Nord Matteo Salvini, che parlando agli ascoltatori di Radio Padania ha dichiarato: “Oggi rivolgiamo tutti un ricordo commosso a Falcone, a sua moglie e alla sua scorta, vittime di una carneficina che non dobbiamo dimenticare”. Frasi che si aggiungono a quelle già pronunciate da altri esponenti politici e testimoniano della trasversale volontà di ricordare nella migliore maniera possibile il giudice Falcone.



La deputata Dorina Bianchi ha ricordato, sul suo profilo Facebook ufficiale, la strage di Capaci, in cui perse la vita, 23 anni fa, il giudice Giovanni Falcone, assieme alla moglie e alla scorta. “Immensa gratitudine a chi ha dato la vita perche’ l’italia fosse un paese libero dalla mafia. Il coraggio di sfidare il male è la preziosa eredità da trasmettere a nostri giovani”, questo il commento della deputata del Nuovo Centro Destra. Un ricordo del giudice arriva anche dalla pagina ufficiale di Enrico Berlinguer (gestita dai ragazzi del sito www.enricoberlinguer.it), che evidenzia come l’Italia non sia il paese di Totò Riina ma quello di Falcone. 



Il 23 maggio 1992, la mafia di Toto Riina e Bernardo Provenzano, scrisse la tragica pagina della strage di Capaci dove trovò la morte un encomiabile Servitore dello Stato e dell’Italia come il giudice Giovanni Falcone insieme alla moglie e la propria scorta. A 23 anni dalla strage, tanti personaggi del mondo della politica, dello spettacolo e semplici persone comuni che ricordano il grande apporto dato da Falcone alla lotta alla mafia. Tra i tanti messaggi c’è anche quello del Ministro Maria Elena Boschi, la quale fa anche riferimento a nuove leggi appena approvate contro i mafiosi: “Due giorni fa abbiamo approvato pene più severe contro i mafiosi. 23 anni dopo #Capaci, il nostro Governo non dimentica #ionondimentico”.

Quando arrivarono le prime notizie dai telegiornali, il 23 maggio di 23 anni fa, si seppe che c’era stato un attentato al magistrato Giovanni Falcone e che ne era rimasto ferito. L’illusione durò solo pochi minuti perché da lì a poco si seppe che era morto lui, sua moglie Francesca Morvillo e tre agenti della scorta. Quel giorno passò alla storia come quello in cui si verificò la strage di Capaci, uno dei delitti di mafia più odiosi e sanguinosi della storia recente italiana. La gioia con cui i boss festeggiarono nel carcere dell’Ucciardone ne fece un simbolo della lotta della Madia contro lo Stato. E in quegli attimi sembrò che la Mafia potesse davvero arrivare a spuntarla. Il giudice Falcone era di ritorno da Roma dove svolgeva il suo compito di dirigere la sezione Affari Penali del Ministero di Grazia e Giustizia allora retto dal socialista Claudio Martelli. Una volta all’aereoporto di Punta Raisi volle mettersi alla guida dell’auto perché rappresentava uno dei pochi momenti di libertà di cui godeva dopo le minacce della mafia e l’attentato sventato dell’Addaura. Quel giorno i suoi spostamenti erano seguiti dal boss Gioacchino La Barbera il quale teneva al corrente degli spostamenti Giovanni Brusca e Antonino Gioè i quali erano su una collina accanto all’autostrada in attesa di vedere arrivare l’auto di Falcone.

I mafiosi avevano posizionato 500 kg di tritolo in un cunicolo sotto l’autostrada. Quando La Barbera avvisò dell’arrivo del magistrato, della moglie e della scorta, Brusca azionò il detonatore che provocò l’esplosione. Le auto saltarono letteralmente in aria, causando una spaventosa voragine nel manto stradale e uccidendo sul colpo tre uomini della scorta. Giovanni Falcone risultava essere gravemente ferito ma ancora vivo. Provarono per un’ora a salvargli la vita ma non ci fu nulla da fare. Poche ore dopo morì anche sua moglie. Durante i funerali di Stato le parole e il pianto disperati della vedova dell’agente Schifani divennero il simbolo di quell’Italia addolorata, sconfortata e al tempo stesso vogliosa di rialzare la testa.
Con la strage di Capaci si aprì la stagione degli attentati mafiosi che prima portarono alla morte il suo collega ed amico Paolo Borsellino e i suoi agenti di scorta, poi si arrivò agli attentati a Roma contro il giornalista Maurizio Costanzo, la strage di via dei Georgofili a Firenze e quella di Via Palestro a Milano. Fu poi reso pubblica la circostanza che prima della strage di Via D’Amelio ai danni di Borsellino, il giudice Antonio di Pietro, simbolo del pool di Tangentopoli, fu costretto a restare all’estero in quanto risultava anche lui nel mirino della mafia.
Le indagini partirono immediatamente e portarono alle importantissime intercettazioni delle telefonate tra Gioacchino La Barbera, Santino Di Matteo e Antonino Gioè nelle quali si facevano chiari riferimenti all’attentato contro Falcone. Gioè si suicidò in cella quando scoprì di essere stato intercettato. La Barbera e Di Matteo decisero di collaborare, il figlio di quest’ultimo fu poi ucciso per ritorsione per ordine di Brusca, Messina, Bagarella e Graviano. Due anni dopo l’inizio delle indagini partì il processo Capaci uno che vide tra gli imputati Salvatore Riina, Bernardo Brusca, Giuseppe Calò, Filippo e Giuseppe Graviano, Michelangelo La Barbera, Bernardo Provenzano e altri mafiosi di primissimo piano. Coloro che non collaborarono furono condannati all’ergastolo, mentre i collaboratori di giustizia videro la loro pena ridotta a circa 20 anni di carcere.
Col Capaci bis, nato nel 2008 dalle rivelazioni del boss Gaspare Spatuzza, furono condannati anche Giuseppe Barranca e Cristofaro Cannella all’ergastolo, Cosimo D’Amato a 30 anni e lo stesso Spatuzza subì una pena di dodici anni.
Durante il 1993 prese il via l’indagine della Procura di Caltanissetta alla ricerca di eventuali mandanti occulti della strage di Capaci e di Via D’Amelio. La vicenda chiamò in causa anche importanti uomini politici nazionali che ne uscirono senza condanne in quanto, come la stessa Procure scrisse 20 anni dopo, non ci furono prove che consentissero di pensare che qualcuno avesse dato ordine alla mafia di effettuare le stragi.
Giovanni Falcone era nato a Palermo nel 1939 nel quartiere della Kalsa, lo stesso del collega ed amico Paolo Borsellino ma anche di molti mafiosi tra i quali Tommaso Buscetta che poi diventerà centrale nelle sue indagini sulla mafia. Dopo avere terminato il liceo iniziò a frequentare l’Accademia navale a Livorno ma si rese conto che la vita militare non era fatta per lui, allora decise di tornare in Sicilia per studiare presso la Facoltà di Giurisprudenza. La laurea arriverà nel 1961 e tre anni dopo iniziò la sua carriera di magistrato a Trapani. Nel 1979 accettò l’offerta di Rocco Chinnici di passare all’ufficio istruzione della sezione penale di Palermo e da lì presero il via tutte le azioni contro la mafia che lo videro protagonista. Il suo più grande successo fu il maxiprocesso di Palermo che vide alla sbarra 475 imputati grazie alla creazione del pool antimafia che lo vedeva protagonista assieme a Borsellino e ad altri magistrati. Il 30 gennaio 1992 la Cassazione confermò le pesantissime condanne inflitte a molti mafiosi e questo diede il via alla guerra della mafia contro lo Stato che portò alla morte lo stesso Falcone appena 4 mesi dopo.
Francesca Morvillo, nata nel 1945, figlia di un magistrato, fu la seconda moglie di Giovanni Falcone e condivise con lui gli anni più duri durante i quali erano costretti a vivere costantemente sotto scorta e privi di qualsiasi libertà di movimento. Brillante studentessa di giurisprudenza divenne anche lei magistrato e legò la sua carriera alle necessità del marito. Anche lei trovò la morte nella strage di Capaci.