Dopo il referendum irlandese, che con il 62 per cento di voti a favore ha detto sì alle nozze gay, anche in Italia si è tornati a parlare di legge sulle unioni civili. Per Maria Elena Boschi, ministro per le Riforme, dopo le elezioni regionali si riaprirà il confronto sul ddl Cirinnà (Pd). Domenica è arrivata l’apertura di Berlusconi: “credo che non vi sia motivo per cui, in uno Stato civile, un fidanzato o una fidanzata etero o dello stesso sesso non possano assistere l’altro se malato o lasciare in eredità qualcosa”. Ne abbiamo parlato con Andrea Nicolussi, ordinario di diritto civile nell’Università Cattolica di Milano.
Professore, che ne pensa, in sintesi, del ddl Cirinnà?
L’aspetto positivo è la scelta di evitare confusioni: sia con le convivenze eterosessuali sia con il matrimonio che la Costituzione riserva all’unione coniugale, cioè di un uomo e di una donna. Le persone omosessuali chiedono il riconoscimento di un unione stabile e il disegno di legge gliela riconosce. Ho perplessità invece riguardo ai continui rinvii alla disciplina del matrimonio nonché alla possibilità di adozione del figlio del partner che può dar luogo a una filiazione per escamotage.
La presidente della Camera, Laura Boldrini, ha detto che “essere europei è riconoscere diritti”. In questa materia noi dunque ne saremmo ancora privi. Come mai?
Purtroppo l’Italia è spesso prigioniera di conflitti ideologici, e l’instabilità politica non ha aiutato a risolvere questioni complesse. Va precisato, però, che quando si parla di famiglia si parla di rapporti etico-sociali, come li definisce la nostra Costituzione, e quindi anche di doveri, di solidarietà e di responsabilità, non solo di volontà e diritti individuali. In particolare, occorre non dimenticarsi mai della tutela dei bambini su cui ricadono le scelte degli adulti. La vecchia Europa dovrebbe pensare di più alle generazioni future.
Le ultime dichiarazioni di Berlusconi (cit.) potrebbero essere sottoscritte anche dal Pd. C’è bisogno di una legge o le istanze di cui è portatore il ddl possono essere riconosciute sul piano dei diritti individuali?
Attualmente le persone conviventi che non sono familiari o parenti non hanno diritti successori. Certo, è sempre possibile fare testamento, ma in mancanza di questo la legge sarebbe necessaria.
Qual è, alla luce della Costituzione e delle ultime sentenze, la strada da percorrere? Conferire alle unioni civili un riconoscimento pubblicistico o privatistico?
Il riconoscimento è sempre di diritto privato e questo vale anche per il matrimonio. L’aspetto che impropriamente è chiamato “pubblicistico” riguarda gli status familiari e la rilevanza istituzionale della famiglia. Uno dei paradossi del nostro tempo è che si chiede una soggettivizzazione del matrimonio, come se fosse un affare privato, ma allo stesso tempo se ne chiede la rilevanza esterna. E addirittura c’è chi come Martha Nussbaum apertamente parla di valore simbolico del matrimonio e contemporaneamente di un diritto individuale al matrimonio.
Ma rispetto alle ultime sentenze di Consulta e Cassazione, il nostro legislatore quali indicazioni riceve?
Le Corti hanno indicato, come in Germania, la via della tutela attraverso il riconoscimento delle unioni civili quali formazioni sociali secondo l’art. 2 della Costituzione. Ciò significa che il concetto di matrimonio che l’art. 29 riserva all’uomo e alla donna non dev’essere modificato. Mi sembrano delle indicazioni utili, ma una volta applicate si dovrà fare i conti con la tendenza del mondo occidentale a voler rivedere a tutti i costi sia il concetto di matrimonio sia quello di filiazione.
Dove passa il confine tra riconoscimento dei diritti delle coppie gay ed equiparazione al matrimonio tra uomo e donna?
Secondo me la questione di fondo rimane la filiazione e il diritto di ogni bambino di crescere nella propria famiglia con suo padre e sua madre. Il matrimonio è stato inventato proprio per questo. Del resto la regola secondo cui il marito è presunto essere il padre del figlio nato dalla moglie è inconcepibile nella coppia dello stesso sesso. Credo, peraltro, che la disponibilità di coppie omosessuali ad aiutare bambini abbandonati vada apprezzata, non demonizzata, ma non si può scivolare nell’indifferenza alle differenze. Genitore 1 e genitore 2 non equivale a mamma e papà. Inoltre, pensare che mediante la tecnica (eterologa o utero in affitto) si possa sostituire la natura di cui siamo fatti mi sembra un’illusione.
Lei vede il rischio che per tutelare le unioni civili, anche omosessuali, si trascuri la famiglia così come definita nella nostra Costituzione all’art. 29?
Purtroppo negli ultimi decenni la famiglia dell’art. 29 è stata molto trascurata dalla politica e spesso addirittura osteggiata dal punto di vista culturale e dell’organizzazione economica. Sarebbe una bella sorpresa se questo dibattito, anziché indebolire ulteriormente la famiglia, determinasse un’inversione di tendenza in grado di rinvigorirne la forza istituzionale.
C’è chi auspica un referendum anche in Italia. Che ne pensa?
Che il Parlamento dovrebbe svolgere il suo compito, perché l’Italia non ha bisogno di un’altra fonte di divisione.