Con l’Expo 2015 i riflettori accesi sul problema della fame nel mondo toccano il loro culmine. Il tema della povertà alimentare che ricorre da decenni sulle agende degli organismi internazionali arriva qui al suo massimo livello di visibilità. Di una simile sensibilità non c’è che da congratularsi: quel “ringraziamo il Signore per la scelta di un tema così essenziale” pronunciato da Papa Francesco non ha nulla di retorico, ma è l’espressione di una Chiesa che sceglie di accompagnare il mondo nel suo percorso, nelle singole scelte concrete che esso compie, non esitando a congratularsi in modo esplicito quando queste vanno nella direzione di una maggiore sensibilità verso l’umano.
Ma non si tratta solo di un semplice applauso: Papa Francesco con il suo invito a “globalizzare la solidarietà” entra nell’agenda del mondo per dare delle indicazioni di metodo. E queste indicazioni hanno come premessa il realismo dei volti: “I volti di milioni di persone che oggi hanno fame”. Ora proprio questi volti non ci testimoniano solo i problemi dell’alimentazione e della malnutrizione, ma ci ricordano anche come la miseria sia in primo luogo la conseguenza dell’essere nati dalla parte sbagliata del pianeta. Di essersi ritrovati a vivere nei mille retrobottega del mondo, dove la povertà alimentare deve fare i conti con la boscaglia dei contropoteri della criminalità organizzata, con il pattume delle guerre etniche, con la violenza generata dalle instabilità politiche. Il problema della malnutrizione e della fame è anche l’esito di un simile devastante degrado.
I volti che Papa Francesco ci invita a guardare ci ricordano anche come la miseria e la fame quasi sempre non si possano risolvere con la ribellione o con la fuga. Nella loro drammatica realtà questi volti ci ricordano come a queste persone manchino non solo le possibilità, ma anche le parole per esprimersi, gli alfabeti necessari per poter pensare una liberazione possibile ed una salvezza praticabile. La povertà può scivolare rapidamente nella miseria morale, nella vita persa a disputarsi il controllo di una baracca, di un asilo precario, di una coperta o di un cappotto. Questi volti ci ricordano come i poveri finiscano nella stiva, scavalcati in una lotta tra miseri, dove a soccombere sono quelli meno veloci e più deboli.
Ma se tutto questo è vero allora la scelta di transitare attraverso la solidarietà per nutrire il pianeta non ha alcunché di retorico ma costituisce una rotta obbligata. Proprio perché non basta nutrire, proprio perché il vero problema non è quello della nutrizione ma di ciò che la precede: la relazione significativa tra esseri umani, il semplice sfamare non basta, né può bastare.
La lotta contro la fame transita necessariamente attraverso la solidarietà in quanto solo a condizione di un incontro con l’altro, l’aiuto materiale può uscire dal circuito della retorica compassionevole per farsi relazione significativa tra persone. Solo in questa prospettiva la lotta contro la miseria alimentare può alimentare il recupero di una solidarietà non formale.
Ma per essere tale questa deve transitare per incontri concreti, abolendo l’anonimato del pacco senza la persona, dell’alimento senza l’incontro tra chi lo dona e chi lo riceve. Qualsiasi risoluzione del problema della fame che non transiti per un tale percorso di solidarietà e di edificazione di legami sociali manca semplicemente il proprio obiettivo essenziale, il proprio fattore costitutivo. Il tema del nutrire il pianeta non è solo declinabile sul piano tecnologico della ricerca delle nuove energie, così come non è solo riducibile a quello degli sprechi, ma si concretizza sempre di più in una solidarietà che presuppone valori come legame, relazione, riconoscimento reciproco. Altrettanti valori impossibili da recuperare dalla semplice retorica se non accompagnati dall’incontro con i volti, se non edificati a partire da un legame concreto, l’unico a partire dal quale sarà possibile realmente e semplicemente vivere, per tutti.